Alexandre Desplat: due premi all’Italia, non sono mica pochi

Strana reazione del presidente di giuria Alexandre Desplat alla domanda sui premi agli italiani. Il presidente scatta: “due premi su otto vi paiono pochi?"


VENEZIA – La giuria ha decretato. Va a A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence di Roy Andersson il Leone d’oro, premio principale della Mostra del Cinema di Venezia. 39 inquadrature fisse e curatissime (circa un mese di lavoro ciascuna) per riflettere sul significato dell’esistenza e in particolare della morte. “Non so se tutti i giurati abbiano fatto lo stesso – dice il presidente di giuria Alexandre Desplat – ma personalmente non mi sono voluto preparare sugli aspetti tecnici dei film, sono voluto arrivare al cinema digiuno per lasciarmi commuovere e colpire”.

L’Italia vince  grazie alle due Coppe Volpi per l’interpretazione maschile e femminile, ai due protagonisti del medesimo film, Hungry Hearts di Saverio Costanzo. Adam Driver e Alba Rohrwacher portano a casa i riconoscimenti. Lieto fine dunque per il nostro paese, anche se qualche tensione traspare dai commenti di Carlo Verdone, giurato italiano, e del presidente Desplat. “Tutti i film italiani erano buoni – dice Verdone – ma si vota a maggioranza e la giuria si è spostata verso quello che aveva più chance di discussione, e che comunque ci aveva colpiti ed emozionati soprattutto attraverso la regia e la performance attoriale, nonostante anche Munzi e Martone abbiano realizzato opere molto importanti. Quello di Costanzo è un film angusto, claustrofobico con una tensione che sale sempre di più. Soprattutto siamo stati attenti alla qualità. Non nego che fosse una giuria intellettuale – ha dichiarato poi Verdone all’adnkronos, in separata sede – ma abbiamo avuto rispetto per tutti i film anche quelli non premiati. Non c’è stata unanimità sempre, ma in molti casi sì”. 

Meno diplomatica, e anche un po’ indecifrabile, la risposta di Desplat, sulla legittima richiesta da parte di un collega sulle possibilità degli italiani di vincere il Leone: “Non capisco la domanda – ha detto – significa che io che sono francese avrei dovuto spingere un film francese? Abbiamo giudicato con spirito di correttezza ed equità. O pensate forse che due premi su otto non siano sufficienti per l’Italia?”

A parte questo scatto, la conferenza della giuria procede senza problemi, riflettendo sulle scelte che hanno privilegiato un cinema al confine tra il reale e l’immaginario. Il Leone d’argento alla miglior regia va a The Postman’s White Nights di Andrei Konchalovsky, recitato da non professionisti, nel ruolo di sé stessi, che racconta  un luogo e i suoi abitanti, più che una storia. Così come racconta una tragedia del reale il documentario di Joshua Oppenheimer, The look of silence, sul genocidio dovuto alla purga anti-comunista in Indonesia negli anni ’60. Tim Roth lo ha definito “cinema puro e straordinario. Emozionante come veder nascere i propri figli. Rispetto al film di Andersson è l’altro lato della medaglia”. “Fantasia e documentario – commenta ancora Desplat – nei principali premiati la linea sfuma moltissimo e credo rappresentino la situazione attuale del cinema, che spesso sfocia nella video art. Il tema è stato l’incontro tra il reale e l’immaginario. Per dieci giorni ci siamo incontrati regolarmente scambiandoci le opinioni e a un certo punto abbiamo votato democraticamente. La delibera si è avuta in tempi abbastanza rapidi”.

Come sempre, si parla anche dei non-premiati. Birdman di Alejandro González Iñárritu ha avuto il plauso del pubblico e le migliori critiche, ma nessun premio: “Personalmente mi è piaciuto – ha detto Tim Roth – è un buon film ed è sempre bello vedere Michael Keaton che prende a calci qualcuno, vestito da super-eroe. Calcolate però una cosa: noi le vostre critiche non le leggiamo, durante i festival. Anzi, a essere onesto, io non le leggo proprio, tanto vi divertite a distruggermi comunque. E’ stato il primo film visto in rassegna e come spesso accade è rimasto con noi per un bel po’, ma poi ne è arrivato un altro che ci ha dato lo shock”. “Tutti sappiamo che Iñárritu è un grande regista – conclude Desplat – e ha un occhio straordinario, ma i film erano 20, così diversi, dai documentari ai film dark ai film poetici e leggeri. Il compito più difficile è iniziare ad eliminarli. Potrei stare a spiegarlo per ore, ma non cambierebbe le decisioni che abbiamo preso”.  

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