“Alexandra” e il caso Litvinenko


AlexandraIncidente diplomatico al Festival di Cannes. Il regista russo Aleksander Sokurov, che oggi avrebbe dovuto presentare in concorso il suo Alexandra, ha disertato la kermesse. Ufficialmente perché malato e stanco, in realtà, come ha spiegato da Mosca al ‘Corriere della Sera’ il suo produttore Andrei Sigle, perché “sfavorevolmente spiazzato, anzi offeso”, dalla notizia della partecipazione a sorpresa al Festival di un documentario-denuncia sull’assassinio dell’agente russo Alexander Litvinenko: Rebellion: The Litvinenko Case, di Andrej Nekrassov e Olga Konskaia, che sarà presentato a Cannes questo sabato alla presenza della vedova di Litvinenko. Quello di Sokurov, che con Alexandra annulla qualsiasi riferimento all’attualità e alla politica per esortare il suo popolo a ricucire le ferite e a passare oltre, sarebbe dunque un atto di protesta contro l’accostamento in cartellone del suo film e di Rebellion, che invece propone uno sguardo fortemente critico sulla Russia, puntando i riflettori sulla notizia che nei mesi scorsi ha infiammato gli animi del paese. “Potevano almeno avvisarmi prima – ha dichiarato il regista – ma il mio film parlerà da solo”.

Mentre l’autore della trilogia sul potere mostra una poetica riconciliazione attraverso la figura di Alexandra (magistralmente interpretata da Galina Vishnevskaya, leggendaria protagonista dell’Opera russa), nonna dalle spalle larghe che va a trovare suo nipote in guerra nelle fila dell’esercito russo e che, unica donna presente nel campo, porta umanità, comprensione e dialogo, il documentario di Nekrassov e Konskaia sarebbe invece, come si legge ancora sul ‘Corriere della Sera’, un durissimo atto di accusa contro il Cremlino e i servizi segreti russi, accusati di aver ucciso senza pietà un personaggio scomodo. Gli stessi servizi hanno assicurato protezione alla troupe di Sokurov, che ha voluto girare Alexandra proprio in Cecenia, ma dando vita a un’opera che parla di guerra pur non mostrandola affatto. Il conflitto è solo evocato – non si vede e non si sente nemmeno un colpo di fucile – riflesso negli occhi e nelle parole dei soldati. “Conosco il prezzo terribile che è costata la pace alla Repubblica Cecena. Ma la guerra è terminata e dobbiamo tornare l’uno verso l’altro, rispettando reciprocamente le vittime. Il nostro film è un’opera di finzione e non è in alcun modo un atto politico. Nel nostro film cerchiamo le strade che avvicinano gli uomini, e le troviamo”, ha dichiarato il regista in un’intervista.

Ed è proprio la strada indicata da Alexandra, che fa riaccendere negli occhi dei soldati una luce di umanità e di dolcezza; che esce dal campo per fare la spesa e incontra delle donne cecene a cui si lega affettivamente, che porta grazia e comprensione nella durezza della vita militare. Ma la sua eroina “potrebbe essere un’americana che rende visita a suo nipote in Iraq, o un’inglese che fa lo stesso in Afghanistan”.

Michela Greco
24 Maggio 2007

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