Alessio Boni: l’Odissea del disabile

L'attore è un ragazzo disabile nel film di Erik Bernasconi presentato al Nuovo Cinema Aquila. Prossimamente lo vedremo nel ruolo di Ulisse in una miniserie tv


Viene presentato questa sera, giovedì 12 settembre al Nuovo Cinema Aquila di Roma il film Sinestesia di Erik Bernasconi, interpretato da Alessio Boni e Giorgia Wurth, che saranno presenti all’incontro. Il film resta in programmazione, in esclusiva italiana, fino a mercoledì 18 settembre (negli spettacoli serali), preceduto dal cortometraggio Expired dell’attore e regista Marco Bonini, che incontrerà il pubblico sabato 14. Con toni agrodolci, Sinestesia racconta due momenti delle vite di quattro giovani adulti, legati da episodi drammatici: “Questo progetto nasce durante l’inverno 2006 – dice il regista –  dopo la lettura di un trafiletto di poche righe in un quotidiano ticinese. Sinestesia riflette sulla presenza del destino nella vita dei quattro personaggi principali. Sostiene un semplice assioma: siamo responsabili delle nostre vite, ma a volte ciò che accade sfugge al nostro controllo. In ogni momento il nostro destino può svoltare e allora diventiamo tutti in qualche modo “diversamente abili”, ognuno di noi ha bisogno di qualcuno che si occupi di lui”.

Il film è stato premiato al Busto Arsizio Film Festival 2012 per la Miglior Fotografia, il Miglior Attore Protagonista e la Migliore Attrice Non Protagonista, ed ha ricevuto tre nomination per il Premio del Cinema Svizzero 2010 per la Miglior Sceneggiatura, Miglior Attrice e Miglior Attrice Emergente. Nel ruolo di Alan, costretto su una sedia a rotelle, Alessio Boni esprime ancora una volta le sue notevoli qualità attoriali. La parte è piuttosto impegnativa.

Cosa l’ha attratta di questo ruolo e come si è preparato ad affrontarlo?
Tutto parte dalla lettura della sceneggiatura che l’elvetico Bernasconi mi ha inviato via mail. L’ho letta e mi ha subito interessato la varietà dei punti di vista di questa quattro persone – l’amico, l’amante, la moglie e il protagonista stesso – sul dramma che ha cambiato le loro vite. La narrazione diventa così ricca di sfumature. Poi è chiaro che le sfide sono stimolanti: prendi un personaggio che ti è distante, uno sportivo, un motociclista, come potevo essere io e come ce ne sono tanti, che si trova in una situazione di quel tipo. La prova non si limita solo a trovare un’espressione visiva, o uno sguardo, ma investe proprio la capacità del corpo di interagire con la sedia a rotelle, una cosa che, per fortuna, non mi era mai capitato di fare nella vita. Sono andato a Bellinzona in anticipo di 15 giorni per potermi preparare, grazie all’assistenza di una persona disabile che mi spiegava tutto: le difficoltà di ritirare soldi al bancomat, di andare in bagno, di salire su una vettura. E’ un lavoro che ti sensibilizza, ti avvicina ai disabili. Ti costringe a guardare le persone dal basso verso l’alto come loro. E poi devi simulare una serie di circostanze: l’insensibilità, il catetere, la necessità di applicare dei massaggi. C’era qualcuno appositamente pagato per controllarmi le gambe. Se mi partiva un nervo, rifacevamo la scena. Mi pare sia uscito un buon lavoro.

Probabile che il pubblico ripensi a Quasi amici…
E’ una situazione diversa. Lì c’era una paraplegia che partiva dal cervello e coinvolgeva il corpo interamente. Il mio personaggio può avere dei figli, può andare in macchina, giocare a basket, fare sport, sciare, perfino andare in bicicletta, ne costruiscono di apposite.

Sembra attratto dai personaggi tormentati, o in difficoltà…
Assolutamente, mi intriga tutto ciò che è difficoltoso. Il male di vivere, il diverso dalla norma quotidiana. Se non avessi fatto l’attore avrei studiato psicologia. Quando in una classe vedo un gruppo di bambini, la mia attenzione si focalizza su quello che non gioca e guarda fuori dalla finestra. Il che non significa che bisogna usare sempre toni tragici o drammatici. Lei per esempio ha citato Quasi amici, che è una commedia. Ma è vero, mi interessa il disagio: quello di un Caravaggio, quello di un Ulisse. Anche come spettatore, mi è piaciuto ad esempio il personaggio di Valerio Mastandrea ne Gli equilibristi, incrinato dalla sua vicenda familiare. Non interpreterei volentieri la normale persona innamorata nel suo vivere quotidiano, mi interessa chi si strugge, per amore, per il lavoro, per un karma negativo o qualsiasi altro motivo, amo i personaggi sfaccettati.

A proposito di Ulisse, lo interpreterà presto in una miniserie che sarà presentata al Roma Fiction Fest…

Sì, il 1 ottobre si vedrà l’anteprima. Sono quattro puntate, per la Rai, coproduzione tra Francia, Italia e Portogallo realizzata con il canale franco-tedesco Arte. Non è il classico Omero, non abbiamo rifatto il classico con Bekim Fehmiu e Irene Papas. Ci sono dei cambiamenti e delle licenze poetiche, ma anche qualcosa che non abbiamo mai visto: L’Odissea è composta da 24 libri, dodici dedicati alle avventure e dodici al rientro a casa. Su questi ultimi di solito le versioni cinematografiche e televisive sorvolano: Ulisse torna, sconfigge i Proci, torna con Penelope e tutto si conclude. Abbiamo reintegrato questi passaggi mancanti. La diffidenza degli amici, le difficoltà di ripresa di rapporto con il figlio Telemaco, il cambiamento di un mondo.

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12 Settembre 2013

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