“Sentiamo tutti la mancanza del cinema, come del teatro. Ne abbiamo bisogno. C’è un grande desiderio di continuare a far sognare le persone”. Alessio Boni riflette con Cinecittà News sulla situazione attuale del mondo dello spettacolo e ci racconta l’esperienza che sta vivendo, in presenza rispettando tutte le norme anti-Covid, a Cortinametraggio, dove è nella giuria della sezione Corti in Sala (in partnership con Vision Distribution). Nella nostra intervista l’attore, 54 anni, ci parla poi della sua autobiografia Mordere la nebbia (appena uscita con Solferino) che ha dedicato al figlio Lorenzo, una profonda riflessione sul mantenersi umani, tra i personaggi che ha interpretato e i viaggi che ha fatto come testimonial di missioni umanitarie (da Save The Children a Medici Senza Frontiere). Con generosità ci racconta anche qualcosa del film su Yara Gambirasio diretto da Marco Tullio Giordana, che uscirà prossimamente su Netflix, e della sua voglia di debuttare alla regia.
Boni, che aria si respira sulle Dolomiti?
Un’atmosfera incredibile. Ci sono attori, registi, sceneggiatori che si confrontano e parlano di cinema. Ci mancava moltissimo tutto questo. Prima lo davamo per scontato. C’è una grande voglia di riprendere da parte di tutti, di continuare a raccontare storie nel miglior modo possibile e far sognare le persone a occhi aperti. I cinema e i teatri sono chiusi, ma per fortuna i set vanno avanti, tra mille difficoltà.
Lei a Cortina è giurato di una sezione che darà la possibilità a un giovane regista di veder proiettato al cinema, quando le sale riapriranno, il proprio corto.
E’ veramente una grande opportunità per un nuovo autore. E per noi che giudichiamo è bello vedere il talento e la qualità di questi lavori, la voglia che hanno i giovani. Per fare questo mestiere l’entusiasmo non deve mancare mai. Devi essere sempre sostenuto dalla passione, anche dopo tanti anni. Una volta Vittorio Gassman mi disse: ‘Se non tremi a una prima teatrale, non sei un attore’. Bisogna sempre a mettersi in gioco.
È la passione per il suo lavoro ad averla spinta a scrivere il libro Mordere la nebbia?
Il lockdown mi ha fatto due grandi regali. Il primo è mio figlio Lorenzo, che da poco ha compiuto un anno. E l’altro è questo libro che ho dedicato a lui. Quando è nato, guardando i suoi occhi che mi fissavano, mi sono chiesto che padre sarei stato. Così la scorsa estate ho iniziato a scrivere il mio percorso, più come uomo che come attore. In questo libro racconto chi sono, i tanti viaggi che ho fatto e i personaggi che ho interpretato. A 15 anni lungo le coste del lago d’Iseo, quando ancora non sapevo quale sarebbe stato il mio futuro, mi chiedevo: cosa ci sarà oltre quella coltre di nebbia? Da qui il titolo del libro. Io ho varcato il ponte di quel lago e oggi ancora sono in viaggio.
Lei ha interpretato Amleto, Caravaggio, Don Chisciotte. C’è un personaggio a cui è più legato o che ha segnato un momento particolare della sua vita?
Sono molti. Ma se devo sceglierne uno, sicuramente è Matteo Carati che ho impersonato ne La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana. Quel film ha vinto nel 2003 la sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes e mi ha fatto conquistare un Nastro d’argento. Da quel momento in poi, è avvenuto un cambiamento nella mia carriera. Sono arrivati i copioni e le telefonate.
Con Giordana è tornato a lavorare recentemente per il film su Yara Gambirasio. Cosa ha significato per lei?
E’ sempre un grande insegnamento essere diretto da Marco. E’ un regista che sa ciò che vuole. Abbiamo affrontato con delicatezza e riverenza questo progetto, proprio perché si tratta di una storia vera accaduta solo dieci anni fa e di cui ancora oggi si parla. E’ una vicenda che ha toccato tutti, a me molto personalmente provenendo dal bergamasco. Ricordo che nella mia zona c’erano dei gruppi di volontari che giornalmente andavano a cercare Yara.
Lei nel film chi interpreta?
Sono il tenente colonnello dei carabinieri che si è occupato del caso. Isabella Ragonese, invece, è la pm Letizia Ruggeri. Ma la vera protagonista è l’indagine.
Con la paternità è cambiato il suo approccio alla recitazione?
Di padri nella mia carriera ne ho interpretati diversi, ma da quando lo sono nella vita è scattato qualcosa di inconscio che mi ha fatto capire più profondamente cosa significhi. Quando abbiamo girato la scena del ritrovamento del cadavere di Yara, sul set c’era un silenzio tombale. Ho immaginato cosa avesse provato nella realtà il padre a ritrovare la figlia in quel modo. Anni fa non l’avrei potuto capire.
C’è qualcosa che le manca nella sua carriera?
Vorrei fare la regia di un film. Il racconto per me è fondamentale, cambia in base ai tempi. Mi affascina molto l’analisi del periodo storico che stiamo vivendo. Ho già una storia in mente, ispirata a una vicenda realmente accaduta. Per realizzarla ho bisogno di almeno un anno di tempo e devo trovare il coraggio di dire di no a dei progetti per dedicarmici esclusivamente. Spero tutto questo avvenga presto, una volta usciti dalla pandemia.
(foto Matteo Mignani)
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