“E’ una commedia sentimentale avventurosa o forse come dice il mio amico Gianni Zanasi un melò”. Così il 42enne Alessandro Lunardelli – assistente e montatore della serie tv Non pensarci e già al Festival di Roma con Photocall – presenta Il mondo fino in fondo, opera prima, fuori Concorso ad Alice nella città, che si sviluppa tra Italia, Spagna e Cile. Protagonisti due giovani fratelli di un paesino del nord Italia, profondamente legati tra loro e tuttavia incapaci di comunicare le loro ansie e conflitti interiori dopo la perdita della madre.
Il maggiore Loris/Luca Marinelli è schiacciato e compresso dalle nuove responsabilità: ha preso da poco il posto del padre alla guida dell’azienda familiare e presto sarà papà. Il minore, Davide/Filippo Scicchitano è omosessuale, ma non l’ha dichiarato alla famiglia e medita di fuggire dall’odiata provincia. L’occasione si presenta quando il fratello Loris lo porta con sé a Barcellona per seguire la trasferta dell’amata Inter in Champions League. L’incontro casuale con Andy/Cesare Serra, un giovane cileno ed ecologista convinto, cambierà la sua vita e forse anche quella del fratello.
Il mondo fino in fondo, girato tra Carmagnola, Rivoli, Torino, Barcellona, Cile e Argentina, è una produzione Pupkin Production e Rai Cinema con il contributo del MiBAC e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte e verrà distribuito da Microcinema. Nel cast ci sono anche Manuela Martelli, Camilla Filippi, Barbora Bobulova e l’ottimo Alfredo Castro, il grande interprete dei film di Pablo Larrain e di E’ stato il figlio di Daniele Ciprì.
Come è nata l’idea del film?
Da piccoli elementi autobiografici da cui poi mi sono presto allontanato. Mi premeva affrontare i sentimenti e le passioni presenti in una famiglia. In particolare, tra due fratelli il cui grande problema è la comunicazione. Davide e Loris sono legati da un sentimento forte, di protezione reciproca e tuttavia divisi da cose più grandi di loro. Entrambi hanno il problema di liberarsi di profondi sensi di colpa e Loris porta anche il peso della responsabilità recente di guidare l’azienda paterna.
Il progetto è partito come un film on the road?
No, prima sono nati personaggi dei due fratelli. Alla figura di Loris ho pensato grazie a un fatto di cronaca: la notizia che un imprenditore bresciano aveva pagato le rette arretrate di alcuni bambini extracomunitari che avrebbero perso il diritto alla mensa. Un gesto anonimo che aveva fatto indignare tutto il paese. Ho immaginato che questo ‘eroe’ rimasto sconosciuto, anche se simile ai suoi concittadini, era suo malgrado un po’ anticonformista. In fondo Loris sembra schematico e cinico, ma è capace di gesti improvvisi d’altruismo come quello di salvare i pulcini della bambina cilena.
E il personaggio di Davide?
Vive la realtà della piccola provincia con senso di oppressione collegato all’identità sessuale. La prospettiva che Davide ha davanti a sé è quella di tenere sempre nascosta la propria omosessualità. Così il viaggio è venuto dopo, una situazione avventurosa dove si sciogliessero le contraddizioni di questi fratelli, prima quelle di Davide, poi quelle di Loris.
Davide sembra affascinato da Andy?
Davide si getta nelle braccia di un giovane sconosciuto come Andy più che per un innamoramento improvviso, perché fin dal primo incontro trova un dialogo civile e sente che c’è una prospettiva di vita diversa da quella del paese di provincia dove abita. Davide è ‘vittima’ del gioco seduttivo di Andy e si ritrova calato in un ambiente dove i suoi coetanei sono un passo più avanti. E’ l’occasione che aspettava, nella quale s’immerge, cercando di essere come loro.
Ha pensato subito alla location cilena?
Volevo un luogo esotico dove potessero emergere in modo intenso le loro vibrazioni. Dapprima ho pensato all’Argentina, ma ho trovato l’atmosfera un po’ naif, mentre il Cile, con gli studenti in piazza a protestare, mi è apparso molto più vitale, paragonabile alla Spagna degli indignados.
Come si è rapportato con quella realtà?
All’inizio la produzione era spaventata dall’idea di girare in un paese straniero, poi l’idea ha preso piede così sono partito per il Cile dove ho trascorso da solo un lungo periodo ricavandone una impressione affascinante. Il cast è arrivato all’ultimo, sapendo ben poco del Cile, perché volevo che anche loro avessero la stessa mia sensazione.
Non manca un riferimento diretto al Cile della dittatura di Pinochet, era nell’aria che ha respirato nel paese?
Loris si trova in un paese di cui sa ben poco e ignora la storia. Ho cercato di avere il tono giusto un po’ documentandomi e un po’ parlando con il regista Marco Bechis e con il direttore della fotografia Maura Morales Bergmann. Da qui il tassista Lucho, vittima di torture negli anni della dittatura, e ora un po’ pavido. Insieme all’interprete Alfredo Castro ho scritto il monologo con il quale ricorda quel periodo drammatico.
Il film ci parla anche delle battaglie ambientaliste, è un tema che le sta a cuore?
Sì certo. Inoltre questo progetto, quando nasce, s’intreccia con la Conferenza di Copenhagen sui cambiamenti climatici. E poi con altri eventi come la imponente protesta studentesca in Cile, guidata dalla giovane universitaria Camila Vallejo che finisce sulla copertina del ‘Times’. Ed è anche il momento, come narrato nel film, in cui la squadra dell’Inter vince dopo tanti anni la Champions League, passando per la semifinale in cui batte il Barcellona.
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