Si è fatto un gran parlare della questione dei due papà (biologico e adottivo) presenti in Kung Fu Panda 3. Senza contare che i padri sono tre: il terzo è il regista del film, l’italiano Alessandro Carloni, per sua stessa ammissione. “Sono il papà creativo del panda Po sin dall’inizio della saga. Lavoro alla DreamWorks da 11anni e stavo lavorando su un altro progetto, quando Katzenberg e Spielberg mi hanno chiamato per chiedermi di tornare ad occuparmene, stavolta però come regista”. Un’esperienza che vorrebbe bissare, lontano però dall’animazione: il suo sogno, oggi, è firmare una commedia con un famoso attore italiano.
Il sogno americano nel suo caso si è avverato: ha fatto carriera alla DreamWorks.
Posso dire di sì. Amo il lavoro che faccio lì, del resto chi fa animazione ha poca scelta: chances in Italia per quel tipo di cinema non esistono.
Si spieghi meglio.
In Italia si realizza un progetto di animazione ogni 10 anni, è improponibile che chi fa il mio mestiere possa restare in questo Paese: esistono centinaia di ragazzi italiani bravissimi nel campo dell’animazione che sono finiti a fare i meccanici o i dentisti perché non possono fare il loro lavoro in Italia.
Se le possibilità per fare animazioni ad alti livelli qui non esistono, perché non crearne?
Infatti ho già parlato con alcuni addetti ai lavori sulla possibilità di aprire una scuola di animazione e di cinema qui in Italia: sarebbe bello, magari con il collega Enrico Casarosa.
Il primo italiano candidato agli Oscar per un corto d’animazione: lavora alla Pixar, non siete rivali?
Niente affatto, la Pixar sforna capolavori, non c’è competizione. L’ultima volta l’ho visto proprio quando è stato nominato agli Oscar, ho trovato bellissimo il suo cortometraggio La luna. Sarebbe davvero stimolante provare a lavorare insieme. Anche se, a dirla tutta, adesso sogno una pausa dall’animazione.
Come mai?
Alla DreamWorks devi gestire budget esagerati di milioni, un team di 700 persone provenienti da paesi diversi – dall’India alla Cina -, sei costretto a esagerare con le scene spettacolari e d’azione per giustificare l’immensità del budget… Sogno di girare un piccolo film, senza le pressioni dello Studio. Un film girato con pochi soldi, per misurarmi con la capacità di fare cose piccole ma di qualità.
Chi le piacerebbe dirigere tra gli attori italiani?
Roberto Benigni: è venuto in America per un paio di progetti e ho scoperto che in inglese fa ancora più ridere: sa sfruttare le sue limitazioni linguistiche per creare ancora più ilarità. Lo stimo molto.
Tornerebbe in Italia?
Perché no. Io mi sento molto italiano non solo per nascita, ma per personalità e istinto. Certo, tutto ciò che so di cinema l’ho imparato all’estero. Prima ero solo un ragazzino con molta voglia di fare, ma nessuna conoscenza. Il mio talento è figlio dell’estero.
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