“Walter è un giovane che deve affrontare le paure della vita e superarle. È ciò che accade a ogni essere umano”. Alberto Paradossi parla a CinecittàNews del personaggio che interpreta nell’opera prima di Neri Marcorè, Zamora, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Perrone, presentato in anteprima all’ultimo Bif&st (Bari International Film & Tv Festival), e nelle sale dal 4 aprile con 01 Distribution.
Come il regista, anche l’attore 34enne, nato a Lucca, si è sentito vicino a Walter Vismara, il giovane protagonista del film ambientato negli anni Sessanta, che dalla provincia si deve trasferire nella grande Milano. Qui inizia a lavorare nell’azienda del cavalier Tosetto (Giovanni Storti). L’imprenditore ha il pallino del calcio e ogni settimana vuole che i suoi dipendenti si scontrino in campo, scapoli contro ammogliati. Ma Walter non sopporta quello sport e per affrontare le sfide settimanali, e soprattutto i colleghi che lo prendono in giro, come l’ingegner Gusperti che lo ribattezza sarcasticamente Zamora (come il grande portiere spagnolo degli Anni ‘30), si affida a Giorgio Cavazzoni (lo stesso Marcorè), un ex portiere caduto in rovina, ora alcolizzato. L’uno con l’aiuto dell’altro cercheranno un modo entrambi per riscattarsi.
Marcorè ha raccontato di essersi sentito molto vicino a Walter, così introverso e timido, un ragazzo alla ricerca della propria strada. È stato lo stesso per te, Alberto, che lo hai interpretato?
Anche io vengo dalla provincia e mi sono trasferito molto giovane a Roma, dove ho fatto il Centro sperimentale di Cinematografia. Lasciando la mia città, ho sentito la paura di affrontare nuove sfide. In questo racconto di formazione, Walter ha un faccia a faccia con le sue paure, cerca di superarle. È la storia dell’essere umano, in fondo. E a Bari è stato bellissimo sentire il calore del pubblico, che ha accolto questa storia con emozione.
Per te è il primo ruolo da protagonista in un film. Sempre Marcorè ha detto che bisogna investire sui giovani talenti. Come lo hai convinto a sceglierti?
Avevo già fatto il co-protagonista in una serie, The Net, ma questo è il primo ruolo centrale della mia vita. Con Neri ci siamo trovati subito. Al provino l’ho fatto ridere. Ed è stato strano, perché quando ero ragazzino era lui a farmi ridere ogni volta che lo vedevo in tv. Tra noi si è creato un rapporto umano e di stima splendido. Per me è stato un film impegnativo, a livello fisico e mentale, ma lo rifarei subito.
Interpreti un giovane degli Anni sessanta. Quello è un periodo che in qualche modo rimpiangi, pur non avendolo chiaramente vissuto, o ti piace vivere in questo momento storico?
Ognuno è figlio del suo tempo, si dice. Sicuramente allora c’era un azzardo, un’incoscienza maggiore che oggi c’è meno. Una prospettiva diversa di vita, dopo la guerra. Quel mondo rimane attraente, ci sono una moda, una musica che hanno formato l’Italia di oggi. Ma a piace vivere questo tempo.
Perché hai scelto di fare l’attore?
Da quando sono piccolo mi piace raccontare le storie. Ce l’ho nel Dna. Mia madre, professoressa di inglese, ha fatto parte di una compagnia amatoriale. Mio padre ha vissuto a New York per un periodo della sua vita in cui ha fatto l’uditore al Lee Strasberg Theatre and Film Institute. A 15 anni mi sono ritrovato a fare un corso di teatro a scuola e quello è stato la mia fortuna. Prendevamo un testo, lo rielaboravamo e lo portavamo in scena. Poi ho deciso di trasferirmi a Roma, anche se non sono entrato subito al Csc. Ho trascorso un periodo a Londra, e quando sono tornato nella Capitale sono stato ammesso al Centro sperimentale. Così è nato questo bel viaggio.
Dal quale ti aspetti cosa?
Di continuare a fare un lavoro su di me, in costante rapporto anche con gli altri. Questo è un mestiere dove ti devi denudare di fronte alla macchina da presa, ma ti devi anche saper difendere. A volte è molto stancante. Io ancora non so che attore sono. Ho un’idea. Intanto mi auguro che Zamora vada bene e che mi possa aprire le porte per fare nuovamente un film da protagonista.
Diretto da chi, potendo scegliere?
Silvio Soldini è un autore italiano che stimo molto, come anche la giovane Carolina Cavalli. Il suo Amanda mi è piaciuto molto. Una regista internazionale con cui sognerei di lavorare è Sofia Coppola.
Quali sono i tuoi attori di riferimento?
Da Ugo Tognazzi a Peter Sellers, da Fabrizio Bentivoglio a Elio Germano e Pierfrancesco Favino. Guardo il cinema trasversalmente, con grande interesse. In questo periodo sto rivedendo la filmografia di John Cassavetes. È anche merito del Csc. Al corso di storia del cinema, dopo la visione di un film, si apriva sempre uno scambio di opinioni davvero interessante.
Torni sul set a breve?
Aspetto la conferma per un progetto importante. Quello dell’attore è un mestiere da precario privilegiato. Ci sono momenti in cui lavori, altri in cui attendi. Intanto vado avanti e non mi fermo a fare provini.
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