Alba Rohrwacher e il “moro di corte”

Alba Rohrwacher è tra i protagonisti di Angelo di Markus Schleinzer, in concorso al TFF. L'attrice veste i panni di un’algida contessa che nella Francia del 700 alleva un bambino africano


TORINO – Alba Rohrwacher è tra i protagonisti di Angelo di Markus Schleinzer, coproduzione tra Austria e Lussemburgo in concorso al TFF. L’attrice veste i panni di un’algida contessa italiana che nella Francia del Settecento alleva un bambino africano, comprato da mercanti di schiavi, per farne un perfetto gioco di società. Addestrato a suonare il flauto e a comportarsi in modo ineccepibile, Angelo, che nel nome porta il suo destino di messaggero, viene poi ceduto a un duca austriaco e finisce per entrare nell’entourage dell’imperatore. Una figura storicamente esistita, quella di Angelo Soliman, che intratteneva la nobiltà con le sue storie dell’Africa nera come “moro di corte” e che, nonostante il suo prestigio, venne cacciato quando si innamorò di una giovane donna che sposò e da cui ebbe un figlio perché la società non poteva tollerare questa commistione tra le razze. Un personaggio che ricorda per certi versi quello al centro di Venere nera di Kechiche.

“Per il resto della sua vita – spiega il regista, già autore di Michael – Angelo non ha più potuto parlare la sua lingua né è stato in contatto con le sue origini. Fin da bambino aveva fatto di tutto per compiacere coloro che l’avevano allevato, ma questo funzionava finché stava zitto e al suo posto, era come uno specchio in cui proiettavano le loro aspettative e i loro desideri. Per me questo film parla dei limiti posti all’identità, di accettazione e tolleranza, della dissoluzione dell’Io in standard collettivi e non solo dell’essere neri perché riguarda tutti”.

A Torino, ad accompagnare il film, di cui è protagonista Makita Samba nel ruolo di Angelo adulto, è venuta Gerti Drassi, attrice altoatesina di stanza a Vienna, che ha sottolineato i collegamenti di questa vicenda, ambientata nel XVIII secolo, con l’oggi, “perché descrive un Occidente che è convinto di essere dalla parte giusta in termini di cultura, educazione e lettura della Storia”.

“La contessa interpretata da Alba Rohrwacher – spiega ancora Gerti – è molto rigida e saccente, pensa di sapere tutto sulla vita e gli esseri umani. Nel suo palazzo non è legittimo neppure toccarsi gli uni con gli altri. Io sono la bambinaia che alleva Angelo, amo questo bambino ‘deportato’ e non riesco più a sopportare un mondo così severo. Uno dei temi centrali del film è come noi guardiamo le persone, se le vediamo davvero o sono solo la proiezione dei nostri pensieri”.

Il personaggio storico di Angelo Soliman ha un ruolo importante nella cultura viennese del Settecento. “Già dieci anni dopo la sua morte è uscita la sua prima biografia e via via è diventato una star, conosceva tantissime lingue, era un bravo musicista e ha scritto anche un’opera, un attore raffinato. Anche se del periodo della sua vita ci sono solo due o tre documenti, la sua leggenda è cresciuta nel tempo. Tra l’altro aveva donato il suo corpo al Museo di scienze naturali di Vienna. In Austria ci sono molti di questi corpi umani conservati e mai sepolti, è una cosa abbastanza inquietante, ci sono anche neonati, si è fatto fino alla seconda guerra mondiale”.

Interessante il parallelo tra il personaggio di Angelo e quello dell’imperatore, entrambi programmati per un ruolo a scapito della loro umanità. “Anche il Kaiser – dice Gerti – è incarcerato nel sistema in cui vive e questo spiega anche la scelta del 3:4 per il film, perché dà questo senso di costrizione nell’inquadratura”.

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