BERLINO – “Vanno tanto di moda il 3D e gli effetti speciali, servono per far credere che ciò che è sullo schermo è vero, reale. Ma Alain dice che nessuno è scemo e tutti sanno che è solo finzione. Lui, al contrario, fa film per dimostrare che ciò che conta è farvi credere a una storia e a dei personaggi. È come se dicesse: volete farmi fare il 5D? Non esiste! Io prendo Sabine Azéma e, se voglio, le faccio interpretare un elefante! E il fatto che sia qui alla Berlinale vuol dire che il suo cinema ha ancora tante cose da dire”. La difesa entusiastica della poetica di Alain Resnais, 92 anni a giugno e un’insopprimibile passione per la sperimentazione, la fa il suo interprete Hippolyte Girardot, che insieme ai suoi colleghi Sabine Azéma, André Dussollier, Caroline Silhol, Michel Vuillermoz e Sandrine Kiberlain ha accompagnato (in concorso) al festival tedesco Aimer, boire et chanter, ultima fatica del regista.
Lui è rimasto a casa in Francia – “Ma – assicura la Azéma – è totalmente in buona salute, è solo che è difficile avere 91 anni e ha qualche problema all’anca. È triste di non essere qui, ma si batte come un leone” – ma a Potsdamer Platz è arrivato il suo film tratto da una pièce di Alan Ayckbourn e portato sullo schermo ricreando, in esterni, le quinte teatrali che ospitano la storia di tre coppie mature che, nella campagna dello Yorkshire, si struggono per lo strano comportamento del loro comune amico George, protagonista invisibile ma sempre al centro dei discorsi di tutti. Una struttura che ricorda un po’ Lettera a tre mogli di Mankiewicz, con l’attenzione di tre donne catalizzata da una quarta persona costantemente evocata ma mai visibile in scena, e in cui fa delle divertenti e curiose incursioni una talpa. “Ha a che vedere con le mie letture dei surrealisti durante l’adolescenza”, scrive, semplicemente, il cineasta nelle note.
“La sceneggiatura è esattamente uguale alla pièce – spiega invece il dialoghista Jean-Marie Besset – in ogni virgola. Alain Resnais ha sempre avuto un rapporto stretto con la letteratura, ha lavorato su testi di autori alla moda, come Alain Robbe-Grillet, e fuori moda. Fa parte di quei cineasti che non cambiano una parola al testo che adattano, rispetta la dimensione teatrale del testo e vuole essere molto fedele allo spirito dell’opera”. E infatti Aimer, boire et chanter è un esercizio di “teatro animato al cinema”, con i personaggi che si stagliano su sfondi disegnati o palesemente ricostruiti ed enunciano i loro dialoghi tra un tableau e l’altro, a segnalare il cambio scena. “Sono alla terza collaborazione con Resnais – spiega l’illustratore Blutch – Di solito arrivo alla fine con i miei disegni, ma in questo film sono arrivato all’inizio, ero lì fin dal primo minuto. Alain è anacronistico, staccato da tempo e dalle mode, e questo ai miei occhi lo rende un vecchio pittore”.
Di certo con Aimer, Boire et Chanter – “un titolo che evoca semplicemente la gioia di vivere”, spiegano i protagonisti – Resnais ha creato, di nuovo, un piccolo mondo tutto suo, slegato dalle consuete convenzioni narrative. “Alain ci ha detto che voleva fare un film che omaggiasse il teatro, il cinema, la radio e i fumetti – ha sottolineato Sandrine Kiberlain – Noi attori pensavamo solo ai personaggi: quando lavori con lui sai che stai facendo qualcosa che somiglia solo a lui, gli dai fiducia e sai che ti sei imbarcato in un universo tutto particolare”. Un mondo per niente facile, però, da ricostruire dal punto di vista della produzione. “È stato difficile mettere in piedi questo progetto – dice Jean-Louis Livi – l’industria cinematografica attuale è desolante ed è indegno che un genio come Resnais, e con lui artisti come Polanski e Kaurismaki, abbiano difficoltà a fare ciò che hanno voglia di fare”. Nonostante questo, regista, produttore e cast, già guardano al futuro: ” Noi, comunque, prepariamo il suo prossimo film”, chiosa Livi.
Alla prossima edizione della Berlinale, 5-15 febbraio 2015, sarà presentata una retrospettiva dei film del regista, a cui il festival renderà omaggio. lo ha annunciato il direttore Dieter Kosslick
Prende il posto della storica manager Beki Probst, che assume l'incarico di presidente di EFM e affiancherà il nuovo direttore
Sarà la Satine Film a distribuire in Italia due delle pellicole vincitrici all’ultimo Festival di Berlino: Kreuzweg di Dietrich Brüggeman - Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura e Premio della Giuria Ecumenica - e Difret, film dell'etiope Zeresenay Mehari coprodotto da Angelina Jolie, già vincitore del Sundance, che si è aggiudicato il premio del pubblico nella sezione Panorama
L'Orso d'oro e l’Orso d’argento per l’interpretazione maschile vanno al fosco noir Black coal, thin ice di Diao Yinan insieme al premio per il miglior contributo tecnico alla fotografia di Tui na di Lou Ye. Un trionfo cinese a conferma della forte presenza al mercato di questa cinematografia. Importante anche l’affermazione del cinema indipendente Usa che ha visto andare il Grand Jury Prize a Wes Anderson per il godibilissimo The Grand Budapest Hotel. Il talentuoso regista ha inviato un messaggio nel suo stile: “Qualche anno fa a Venezia ho ricevuto il leoncino, a Cannes mi hanno dato la Palme de chocolat, che tengo ancora incartata nel cellophane, finalmente un premio a grandezza naturale, sono veramente contento”. Delude il premio per la regia a Richard Linklater che avrebbe meritato di più