‘After Love’, doppi amori e altri inganni

Cosa c'è di più banale di un uomo che ha due famiglie? Questo schema si volge in giallo nel film britannico After Love, esordio alla regia dell'anglo-pachistano Aleem Khan, classe 1985


Cosa c’è di più banale di un uomo che ha due famiglie? Questo schema si volge in giallo nel film britannico After Love, esordio alla regia dell’anglo-pachistano Aleem Khan, classe 1985. A far detonare il plot due donne ai due lati del Canale della Manica: a Dover la moglie Mary (una straordinaria Joanna Scanlan, attrice fin qui nota per ruoli brillanti in serie tv), tanto devota da aver abbracciato la fede musulmana per l’uomo di cui si è innamorata quando erano adolescenti; a Calais la compagna Genevieve (Nathalie Richard), moderna e disinibita, molto indipendente, che all’uomo ha dato il figlio Solomon (Talid Ariss).

Il film, presentato a Cannes alla Semaine de la Critique e trionfatore ai British Independent Film Awards con sei premi, si apre sul rientro a casa di Mary col marito dopo una festa di famiglia. Mentre lei gli prepara una tazza di tè, lui all’improvviso muore. La vedova è distrutta ma scoprirà ben presto che c’era una relazione segreta decidendo di partire per la Francia per scoprire cosa provava l’uomo che ha avuto accanto per tutta la vita e che credeva di conoscere molto bene.

“Con After Love – spiega il regista, in debito verso un film ‘seminale’ sul tema delle rivelazioni familiari come Segreti e bugie di Mike Leigh – volevo esplorare il modo in cui costruiamo la nostra identità e per chi la costruiamo. Essendo io stesso anglo-pakistano, cresciuto fra due culture diverse, si tratta un tema che mi tocca personalmente. Spesso ci adattiamo e cambiamo il modo di comportarci a seconda dell’ambiente e delle persone con cui siamo, ma perché lo facciamo? Per renderci più desiderabili, più accettabili, più degni d’amore? O semplicemente per la troppa paura di finire rifiutati per quello che siamo davvero? La protagonista del film, Mary, ha adottato la religione e la cultura del marito, Ahmed, e dopo la sua morte si ritrova a lottare per rimettere insieme i frammenti del suo cuore e un senso di identità andato perduto. È alla ricerca della verità, della comprensione e, in definitiva, di un senso della famiglia. I personaggi del film si trovano coinvolti in relazioni in cui verità, morale, bugie e inganni sono intrecciati fatalmente e spesso si trovano a infrangere il proprio codice etico. Sono curioso di sapere se gli spettatori penseranno che Mary si è spinta troppo oltre”.

In effetti Mary mette in atto un comportamento discutibile e, per certi versi incomprensibile almeno alla luce della razionalità, intrufolandosi nella vita della rivale e di suo figlio senza dire chi è. Ma la macchina da presa di Aleem Khan è sempre complice e delicata nello spiare queste esistenze. Mary dice poche parole ma è il suo corpo sovrappeso che parla per lei, il dolore del lutto emerge da piccoli gesti (la seconda tazza di tè che prepara inavvertitamente anche quando lui non c’è più; il riascoltare un unico messaggio nella segreteria telefonica con la voce di Ahmed, una voce che è sempre stata importante nella loro relazione). In scena anche un conflitto di culture in cui l’adolescente è intrappolato, diviso tra una madre sbrigativa e poco empatica che ha represso per lunghi anni desideri e sentimenti e un padre che è poco più di un fantasma ma che lo rimanda alle tradizioni pachistane. 

Il film ha entusiasmato la critica internazionale: Peter Bradshaw sul ‘Guardian’ cita Hitchcock tra i riferimenti ed è vero che la tensione cresce via via che l’ingannata diventa ingannatrice a sua volta in una spirale in cui torto e ragione perdono completamente di senso. 

In sala dal 10 febbraio con Teodora

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02 Febbraio 2022

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