‘Abbi fede’ di Giorgio Pasotti, film sul bene e il male vicino al conterraneo Olmi

‘Abbi Fede’ di Giorgio Pasotti, che parafrasa il conterraneo Olmi


“Sono un appassionato di tutta la cinematografia scandinava, che riesce a toccare corde mie intime, da Bergman in poi. Il film originale di Anders Thomas JensenAdams æbler (Le mele di Adamo), mi colpì per l’ironia, avevo riso per scene molto drammatiche. ‘L’arte, in qualsiasi sua forma, dovrebbe stimolare un pensiero’, rifletteva Ermanno Olmi, mio conterraneo bergamasco: un film dovrebbe toccare questa essenza dell’arte; il film originale, e spero anche il mio, auspico possano stimolare una risata su un tema affatto superficiale”, afferma Giorgio Pasotti, sceneggiatore, regista e interprete di Abbi fede.

“Sono un cattolico poco praticante ma credente, sono una persona di fede: ho una profonda fiducia in Dio e nella Natura. E spero che questo passi anche come un film sulla Fede. Mi innamorai completamente del film nel 2005, molto attuale oggi per i temi trattati: racconta di una società verso la deriva, per estremismi politici e religiosi. Così, mi premeva mettere in scena la storia proprio ora: la differenza con l’originale sta nell’aver ‘colorato’ il film, più vicino alle nostre cifre, un po’ più ironico: la parola ‘leggerezza’ – ma non superficialità – ha guidato l’idea di spingere verso una direzione di commedia, che rappresentasse un linguaggio a cui il pubblico italiano è più abituato”.

Ivan (Giorgio Pasotti) è un entusiasta sacerdote dal passato imprevedibilmente dilaniato, che vive una dimensione quasi fuori dal tempo, tra le montagne dell’Alto Adige, una Natura non solo scenografica ma soprattutto simbolica, infatti: “Sono molto contenta di questo progetto, in cui c’è tantissimo della nostra terra, persino i prodotti: questo film mostra molto del nostro lavoro quotidiano, per cui ci vediamo come piattaforma tra il mondo tedesco e quello italiano”, dice Birgit Oberkofler – responsabile IDM Film Fund & Commission / Alto Adige. 

La fede di Padre Ivan è riposta tanto in Dio quanto nell’uomo. Nonostante non abbia dubbi, la messa alla prova si presenta e si chiama Adamo (Claudio Amendola), un neofascista che viene accolto nella piccola comunità di recupero del prete. Una sindrome clinica e due poli opposti a confronto, il bene e il male, che la dinamica porta a contaminarsi. Un fascio di tensione ascende, accompagnato dalla spiegazione scientifica di un medico – Roberto Nobile, in un’interpretazione molto convincente – e sotto lo sguardo osservatore e distorto della comunità – uno sciatore alcolizzato, Gustav (Robert Palfrader), una donna problematica, Sara (Gerti Drassl) e un ex-terrorista, Khalid (Aram Kian): nel complesso del tutto, lo scopo è anche riuscire a preparare uno strudel, che in tedesco significa “vortice”, altra simbologia utile al racconto, fino all’apicale “scontro” tra Ivan e Adamo, anime – nonostante tutto – con la speranza sempre viva, quale necessità dell’uomo e dello spirito.  

Giorgio Pasotti, dietro la macchina da presa, oltre che originale interprete di un personaggio tanto bislacco quanto profondo, usa l’occhio meccanico proprio per conferire al bene e al male una connotazione anche visiva, con scelte di piani specifici e anche un’ispirazione pittorica – per Adamo Francisco Goya, per Ivan, le illustrazioni di Norman Rockwell, estetica simbolica supportata dalla fotografia: “Carlo Rinaldi è un giovane direttore della fotografia: l’euforia, l’entusiasmo e la visione nuova che ha portato nel film, per me erano essenziali; è stata studiata di scena in scena , ‘piccole tonalità di colore’ che raccontassero perfettamente il tono del film”, precisa il regista, insieme alla musica, che concorre parallela, tra solenne e leggera, a restituire la distinzione, la convivenza e l’influenza tra i due mondi agli antipodi. “Sin dalla scrittura abbiamo cercato di racchiudere nei personaggi delle contraddizioni, non secondo uno scherma troppo semplice: abbiamo cercato di dipingere Ivan un po’ da ricordare la gioventù nazista, per come si veste e si pettina, o come recita il sermone, quasi fossero regole. Al suo interno, però, ha un enorme conflitto, seppur, da un lato, mi piaccia pensare a lui come capace di recuperare quelle anime un po’ perse, con una modalità un po’ ottusa e estrema. L’eterno conflitto bene-male esiste all’interno di ciascun personaggio che abbiamo scritto con Federico Baccomo: ho cercato di non dare un giudizio alle persone, ma lasciare che avessero dei dubbi a cui non avevano ancora dato risposte. Ho avuto la fortuna di avere un cast strano, non facile da mettere insieme: in scrittura non avevo pensato a nessuno al di fuori di Claudio, da subito l’unico Adamo che ho sempre ritenuto possibile nella mia testa. Ho visto quasi tutti i ruoli interpretati da Claudio e questo è forse il suo più diametralmente opposto: so quanto sia stato anche motivo di sofferenza, ci vuole un certo coraggio a dare anima, fisico e dolore”. 

Amendola conferma che “È stato un volo strano, partito inizialmente da un approccio fisico: il sovrappeso, il tatuaggio, l’essere calvo, così avevamo trovato l’impatto visivo”. Ma il suo Adamo ad un certo punto indossa anche l’abito talare: “tra l’altro per la prima volta in carriera: vivo quei panni con enorme rispetto, seppur mi sia sempre professato non credente; nel proporre un cambio così netto, mi sono sentito molto dentro quel ruolo, che ho affrontato con curiosità. Sono molto netti nel film la presa di coscienza e il cambio di Adamo: mi sono lasciato portare un po’ da Giorgio e dall’abito, un’uniforme molto interessante. Con Giorgio, poi, abbiamo capito che, seppur sembri un paradosso, in fondo il mio personaggio è il meno strano di tutti: pian piano si trova in un micro cosmo con dinamiche assurde e non controllabili, che lo mette in grande disagio. Lui cammina come un oggetto quasi estraneo: la circospezione con cui si guarda intorno è un po’ la chiave con cui l’abbiamo fatto scivolare in mezzo alla storia. È talmente, per me, incomprensibile il personaggio che non ho avuto modo di preparalo, era scritto così. Giorgio mi ha dato qualche linea e poi l’abbiamo costruito giorno per giorno sul set, con i compagni di lavoro, un cast strepitoso”. E in particolare, ricorda Pasotti: “Robert Palfrader, che in Austria è una sorta di Checco Zalone: lavorando con noi mi ha quasi commosso la sua umiltà. Aram Kian è stato il più difficile da trovare, con decine di provini: un folle vero e proprio, una sfida. Come Roberto Nobile, nella parte del medico che viene quasi tradito dalla scienza. Per l’equilibrio tra i diversi toni del film ho dovuto porre molta attenzione: era la cifra difficile da riuscire a tenere per tutto il corso. Avevo bisogno di attori che mi aiutassero a questo linguaggio, con personaggi molto credibili, capaci di passare tra i registri, così ho cercato di lavorare molto con loro, e con la fotografia di pari passo”. 

La Fede patrosa, la Fede fragile, come quelle montagne che abbracciano la scena del film, un racconto tanto terreno e pragmatico, quanto il suo essere favola dall’animo nobile, con sfumature da commedia grottesca: un mélange esposto al rischio potenziale della confusione e invece concertato con consapevolezza dalla scrittura e dalla regia di Pasotti.

Il film appartiene alla rosa di quelli che, in accordo con Rai Cinema, poiché impossibilitati ad uscire al momento in sala, si è scelto di rendere disponibili su Rai Play: Abbi Fede, una produzione Cannizzo Produzioni, Greif Produktion, Cineworld Roma e Dinamo Film, dall’11 giugno. “Al fascino della sala ho dovuto rinunciare per ovvie ragioni ma ho scoperto che la piattaforma è una grandissima opportunità, inaspettatamente importante, numeri alla mano: Rai Play è completamente gratuita e quindi dà al film la possibilità di essere visto anche da un pubblico eterogeneo, oltre che da quel pubblico che forse non sarebbe andato al cinema. È una grande occasione per il film, per il cinema in generale: è imprescindibile oggi non pensare alle piattaforme come fondamentali per il cinema”, conclude Giorgio Pasotti. 

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09 Giugno 2020

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