8 ore per le anime morte di Wang Bing

Il regista Wang Bing presenta "Dead Souls", nella sezione Séance Spéciale.


CANNES – Nel Nordest cinese giacciono i resti di innumerevoli prigionieri abbandonati 60 anni fa: morirono di fame nel ’57, nei campi di Jiabiangou e Mingshui. Dead Souls – Séance Spécial sulla Croisette – porta lo spettatore ad incontrare i sopravvissuti per scoprire in prima persona chi erano e chi sono ora queste persone, ciò che sono state costrette a sopportare e quello che divenne per molti il destino definitivo, la morte. 

Il dramma si consumò contro chi era sospettato di opposizione al potere del Partito Comunista: non era tollerabile avere opinioni differenti dalla politica dominante. La pressione psicologica era vessante e l’approccio da parte della dittatura dogmatico. Eppure le persone non si erano arrese a morire e per cercare di sopravvivere s’era giunti a nutrirsi anche di “carne umana”. 

Una narrazione in forma documentaria in cui l’efficacia del racconto viene individuata dal regista nella fissità del parlato personale, un impatto unitario che non frammenta il ricordo. Per capire: il primo punto di vista di un sopravvissuto si presenta in forma di monologo, frontale alla camera fissa, per una durata di 36 minuti; subentra la voce della moglie, per qualche brevissima puntualizzazione, la donna è nell’inquadratura sin da principio ma parla solo dopo il minuto 25. Una scelta estrema per cui difficoltà, fatica, dolore di chi parla, per via di una messa in scena con queste modalità e tempistiche, cadono addosso allo spettatore, probabilmente alla ricerca di una sorta di empatia emotiva tra interno ed esterno umano allo schermo. 

Wang Bing (Pardo d’Oro a Locarno 2017 con Mrs.Fang) racconta uno spaccato di Storia cinese quasi fantasma, le persone ne sono protagoniste assolute, epidermici soggetti degli eventi, qui narrati per oltre 8 ore, una scelta di tempo non nuova per il regista, dettata dal sentimento dello stesso Bing, che – presente all’anteprima – ha così dichiarato la propria personale connessione con il documentario: “In Cina la mia vita è simile a quella di tutti gli altri cinesi normali. Sono uno dei tanti della classe media. Anche per questo ho sentito forte l’esigenza di filmare e raccontare queste persone sconfitte”. Ha raccolto le storie a partire dal 2005 su tutto il territorio cinese e, come ha spiegato: “dal 2014 hanno iniziato a prendere forma cinematografica grazie a Serge Lalou, ma anche a ARTE France Cinema, che hanno reso possibile il film fosse realizzato e portato a termine, per poi essere mostrato a Cannes”. 

Il regista – per cui il documentario è linguaggio per fare drammaturgia del vero di micro e macro dimensioni umane non raramente al limite dell’ufficialità in un paese come il suo – tende anche in questo Dead Soul a mostrare, quindi svelare, aspetti contradditori e poco conosciuti della sua terra. 

 

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09 Maggio 2018

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