Sophia Loren ha festeggiato i suoi primi 90 anni il 20 settembre, Marcello Domenico Vincenzo Mastroianni viene ricordato per il suo centenario il 26 dello stesso mese: se non fosse per una simbiosi artistica che ha fatto storia, si potrebbe dire che l’inossidabile legame tra i due Grandi del cinema italiano era già previsto dalle stelle alla nascita. Per chi crede all’astrologia è quasi una cuspide tra la Vergine di lei e la Bilancia di lui, riferimenti quanto mai appropriati entrambi. E poi in comune c’è una romanità che Sophia ha rimosso guardando prima alle sue radici napoletane e poi al jet set da brava madre di famiglia e che Mastroianni ha invece coltivato in segreto, fiero delle sue radici “plebee” (il padre faceva l’impiegato a Fontana Liri, a cavallo tra Campania e Lazio), per poi passare molto presto a un’internazionalità di sobria eleganza, eleggendo Parigi a seconda patria.
In questi giorni il sorriso nostalgico e un po’ da “fanciullino” di Marcello ci guarda da ogni angolo cinefilo: campeggia in posa felliniana sui manifesti della Festa del Cinema, figura nella bella mostra curata da Laura Delli Colli per il Centro Sperimentale all’Isola di San Servolo nella laguna veneta, viaggia felice e beneaugurante in decine di festival e festivalini su e giù per la penisola, accompagnerà le celebrazioni già in cantiere da parte di Cinecittà all’estero. Insomma, è un’icona universale, fissata come un’opera d’arte che rende merito ai 148 volti in cui si è sdoppiato sullo schermo, ma che rischia di appannare la dimensione intima di un uomo che si è sempre celato dietro al Grande Attore, senza però mai inalberarne la presunzione da Gran Trombone. La dote più evidente di Marcello era infatti l’autoironia, il piacere dell’understatement e un discepolo di Freud avrebbe senza dubbio rintracciato in questo le felici contraddizioni di un Io complesso che sempre volle recitare se stesso e mai farsi Mattatore.
Mastroianni cresce tra la Tuscolana e San Giovanni in Laterano, prende il diploma di perito edile per far contenti i genitori, finisce sotto le armi all’Istituto Geografico Militare di Firenze, ma si dà alla macchia a Dobbiaco dopo l’8 settembre 1943 per tornare a casa a guerra finita dopo un periodo bohemien a Venezia insieme allo scultore Remo Brindisi. Già da ragazzino aveva annusato l’aria di Cinecittà facendo la comparsa su set importanti come Marionette (Carmine Gallone), La corona di ferro (Blasetti), Una storia d’amore (Camerini), I bambini ci guardano (De Sica). Solo gli specialisti potrebbero riconoscere in quei film il ragazzetto timido e magrolino che voleva fare l’attore ma non osava confessarlo al padre. Più o meno di nascosto riprende le lezioni di recitazione nell’Italia repubblicana, divide speranze e letto con una sconosciuta Silvana Mangano, approda al cinema da professionista nel 1948 con I miserabili di Riccardo Freda e al teatro in Come vi piace diretto da Luchino Visconti nello stesso anno. “Certo, nel teatro entrai dalla porta d’oro” – dichiarerà Marcello a Francesco Tatò –. “La compagnia diretta da Visconti era probabilmente la più importante di quegli anni: c’erano Rina Morelli, Paolo Stoppa, Vittorio Gassman […]. Quelli furono certamente gli anni che mi hanno formato. La disciplina di Visconti, la sua grande esigenza, il suo perfezionismo (ma da artista!); i consigli ricevuti dai miei colleghi, specie da Rina Morelli, che mi proteggeva come una mammina: se so fare qualcosa, credo che lo devo molto a loro”.
Nel 1950 si sposa (con Flora Carabella, da cui avrà l’amatissima figlia Barbara) e incrocia sul set di Cuori sul mare la giovanissima Sofia Scicolone – non si chiama ancora Loren – che fa la comparsa. I due, grazie a Blasetti, si ritroveranno in Peccato che sia una canaglia (1954) e non si lasceranno più di set in set: 14 volte in tutto.
Da qui in avanti la biografia di Marcello diventa leggenda: per tutti gli anni ’50 è il modello di un italiano vitale, popolare, ottimista e sognatore che incarna – allo stesso modo di Sophia – la voglia di riscatto, affermazione, quieta normalità in cui si riconosce il Paese al tempo della rinascita economica. I due film in cui Visconti lo chiama (Le notti bianche e Lo straniero) sono la sua “tesi di laurea”: porta nel cinema la severa scuola del suo pigmalione teatrale, ma la stempera con accenti realistici e spontanei che lo spingeranno al vertice assoluto de I soliti ignoti (1958). Due anni dopo, con La dolce vita, diventerà l’Italian Latin Lover e un divo internazionale. Seduttore lo era nel modo di vivere l’incontro ben più che nelle passioni sentimentali: era schivo del successo, adorava dividere il “cestino” con la troupe, passava di film in film come se dovesse riempire il vuoto della vita a casa, entrava in ogni tipo di personaggio con la naturalezza di una scuola imparata in palcoscenico e sul set, scevra da ogni vezzo scolastico. Si è innamorato più volte – da Faye Dunaway a Catherine Deneuve ad Anna Maria Tatò – ma non ha mai lasciato la moglie, emblema in questo della sua tradizione prettamente italica. Ha lavorato con molti fra i più grandi (Antonioni, Pietrangeli, Germi, De Sica, Petri, Comencini, Ferreri, Scola, Taviani, Bellocchio, Tornatore), più raramente con i maestri stranieri (Mikhalkov, Altman, Angelopoulos, De Oliveira), ma la complicità con De Sica (pensate a Ieri, oggi e domani) e il sodalizio con Fellini resteranno un marchio indelebile; come se per tutta la vita Mastroianni fosse stato il compagno di banco e l’ideale fratello minore di Vittorio, così come lo specchio e la proiezione fantasticata di Federico.
Eppure, se la gloria immortale resterà legata a La dolce vita e Fellini 8 e ½, in qualche modo l’interpretazione che meglio ci restituisce anche oggi l’unicità di Mastroianni resta Una giornata particolare di Ettore Scola (1977): in Gabriele, quel dimesso annunciatore omosessuale, schernito e messo ai margini dalla prosopopea fascista, capace di una sintonia profonda con Antonietta, a sua volta reietta in quanto donna e madre “fattrice”, Marcello tocca tutte le corde più profonde della sua naturalezza espressiva, un talento naturale diventato arte grazie alla vita e alla tenacia segreta, mai ostentata, dell’attore.
Quella passione Mastroianni ce l’aveva nel sangue: in famiglia erano artigiani, falegnami ed artisti; lo zio Umberto sarebbe stato un grande scultore, suo fratello Ruggero un genio del montaggio, lui voleva essere attore per vivere mille vite restando se stesso e levigando ogni personaggio con lo stesso scrupolo con cui nonno Vincenzo lavorava il legno. È questo il segreto del suo stile: niente perfezionismi alla Actor’s Studio, nessuna gigioneria da mattatore, tutto il contrario del divismo da rotocalchi; andava sul set con la stessa tranquilla serietà dell’ultimo dei macchinisti e, se celava malinconie e solitudini profonde, lo faceva con una risata e una ciriola a pane e mortadella al tavolo dei lavoranti che, ogni giorno, dividevano con lui quel grande sogno collettivo che chiamiamo cinema.
La vignetta riproduce un ritratto fotografico giovanile del celebre attore, di cui si festeggia il centenario
Tra Bellocchio, Fellini, Tornatore e Altman, gli ultimi anni dell'attore non sono meno ricchi di grandi personaggi e avventure
Tra le decine di film, spesso memorabili, in cui ha recitato il mitico Marcello Mastroianni, quali sono i più apprezzati dal pubblico e dalla critica? Scopriamolo in questo nuovo appuntamento di 100 Mastroianni
"Ogni tanto non lo capisco, ma in linea generale mi ci trovo bene" diceva Mastroianni di Troisi. Un connubio artistico quello trai i due attori che toccherà vette importanti con Che ora è