Marco Bellocchio: “la Commedia è una vena che mi piace, col piglio del gioco”

Un cortometraggio Fuori Concorso, 'Se posso permettermi – Capitolo II', interpretato dai suoi attori prediletti, da Fausto Russo Alesi a Barbara Ronchi, da Fabrizio Gifuni a Filippo Timi e, per la prima volta, Edoardo Leo


VENEZIA – “…essere o non essere…”, la questione dell’individuo è subito centrale e dichiarata da Marco Bellocchio, autore di Se posso permettermi – Capitolo II, cortometraggio Fuori Concorso, in cui gioca al “gioco del cinema” con una manciata dei suoi attori prediletti, da Fausto Russo Alesi a Barbara Ronchi, da Filippo Timi a Fabrizio Gifuni, Rocco Papaleo, Edoardo Leo, Giorgia Fasce e Pier Giorgio Bellocchio.

Una casa, una bella dimora di campagna, un’abitazione antica: ecco il nido – o la prigione morbida – del signor Fausto (Russo Alesi), intellettuale di mezza età che, pieno di debiti dopo la scomparsa dell’anziana mamma che l’ha sempre mantenuto, si trova costretto a mettere in vendita l’appartamento in cui vive, ma la signorina Barbara (Ronchi), fedele domestica di famiglia, non ci sta: “questa casa non è in vendita!”.

“L’idea è nata per caso, a Bobbio* c’era la possibilità di fare questo corto, con una serie di fortunate casualità, come alcuni attori lì di passaggio: abbiamo combinato questa situazione, partendo dal primo capitolo, con qui altri grandi personaggi, per cui ciascuno ha concesso una breve ma intensa disponibilità. Si è lavorato con leggerezza. Il personaggio di Fausto è un perdente ma con valori intellettuali, di ricerca, di studio, che io condivido; lui sostiene ‘lo Stato dovrebbe darmi lo stipendio’ perché in fondo tiene in vita grandi italiani, da Pascoli a Dante, quelli su cui mi sono formato anch’io. E poi mi ricordava mio fratello Pier Giorgio, la sua capacità di non integrarsi mai e essere fuori dalle istituzioni. I temi erano profondi per me, ma il piglio è stato un gioco”, racconta il regista a Venezia81.

Nella casa comincia l’ingresso di una carrellata di personaggi e così nascono situazioni: ruotano tutti intorno al “…dovrebbe trovarsi un lavoro…”, suggerimento che arriva da Barbara, disposta a esporsi personalmente per mantenere la dimora, ma non disposta a mantenere lui; “…dovrebbe trovarsi un lavoro…” è lo stesso monito di padre Fabrizio (Fabrizio Gifoni), parrocco del posto, non completamente disinteressato al patrimonio immobiliare, s’intuisce, ma comunque concreto nell’offrire al signor Fausto un mestiere, da sagrestano; e poi c’è il personaggio di Filippo Timi che gli propone di trasformare l’appartamento in una grande attrazione turistica: la casa dei fantasmi, con lui – il padrone di casa – a far da cassiere, custode e Cicerone. C’è anche il carabiniere interpretato da Pier Giorgio Bellocchio che, presentandosi dal protagonista per rammentargli i tantissimi debiti in sospeso, porta con sé la figlia Frida (Giorgia Fasce) e, per sistemare lui ma anche una questione molto personale, gli offre un matrimonio “riparatore”. Dopodiché il signor Fausto incontra, faccia a faccia, una coppia di ladri, a cui, assurdamente ma nemmeno troppo, non tarda di fornire il codice di sicurezza della cassaforte: “lei è un pessimo esempio di persona onesta, ma senza dignità”, commenta il malvivente Edoardo Leo. Finché il cerchio si chiude così come s’era aperto, ovvero con la signorina Barbara a quattr’occhi e un interrogativo di lui: quindi, è il momento di uscire o non uscire, superare o non superare se stesso?

Alesi parla del progetto come di “qualcosa in divenire, qualcosa di atipico, con sempre una grande libertà durante le riprese: è stato magnifico creare dentro la situazione laboratoriale di ‘Fare Cinema’, perché tutto può succedere, in estrema leggerezza nonostante in questi brevi racconti le tematiche siano profonde. ‘L’essere o non essere’ iniziale è una guida di confronto con l’immensità”.

Marco Bellocchio spiega di non aver scritto pensando per ciascun attore uno specifico personaggio, ma che sia “stato un fare combinando lo scritto sull’attore, con riferimenti al mio passato: per esempio, Leo mi ha ricordato Placido in Salto nel vuoto. Ciascun personaggio è stato affidato in base alla disponibilità dell’attore, così Papaleo poteva dare poche ore e allora ci siamo inventati quell’Amleto un po’ pagliaccio” girato nella vera cappella cimiteriale di famiglia, come famigliare “è la casa de I pugni in tasca, quella della mia infanzia, dove si andava a fine scuola e fino a settembre, in campagna. La casa è il luogo da cui uno vuol sempre andar via ma… infatti il sacerdote di Gifuni dice a Fausto di tenerla, mentre l’agente immobiliare cacciato dalla Ronchi vorrebbe venderla”.

Per Leo, dopo aver “fatto un po’ di commedie andate bene, negli ultimi anni ho fatto scelte per lavorare con Cavani, De Matteo, Zanasi e in questa direzione è andata anche la scelta di lavorare con Bellocchio, con cui… mi sono ritrovato dentro la commedia! Era come essere dentro a un qualcosa di surreale, con una rarissima anarchia creativa”.

E, a proposito dell’irricorrenza del tono della commedia nel cinema di Bellocchio, lui stesso commenta: “questo film non era previsto, per cui c’era responsabilità e irresponsabilità al contempo. Quando mi è successo di riguardarlo dopo anni, mi sono accorto che comunque ne La Cina è vicina ci fossero situazioni comiche… ma anche in Salto nel vuoto, un film con situazioni tragico-grottesche: è una vena che mi piace”.

Bellocchio, su un terzo possibile capitolo, dice di avere “idee vaghe” ma intanto “nessuno pensava di essere qui a Venezia per questo corto: “La prima volta Chiarini rifiutò I pugni in tasca perché ai tempi i direttori decidevano politicamente, aveva deciso che Luchino Visconti dovesse avere il Leone e lo ebbe per Vaghe stelle dell’Orsa. Però, due anni dopo mi invitò per La Cina è vicina, che fu premiato. A quei tempi la politica aveva una capacità dominatrice”.

E, a proposito di premi, l’occasione di presentazione del corto è anche quella per la consegna ufficiale del Premio Bresson, ieri conferito al maestro piacentino, che oggi Mons. Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, ha consegnato nelle mani dell’autore, ricordando che sia “l’unico premio che la Santa Sede conferisce a un regista. Di tutte le parole della motivazione, ricordo lo sguardo libero e non lezioso di Marco Bellocchio, che mette l’impegno morale di andare in fondo, arrivando nell’oltre, anche spirituale”. Bellocchio lo accoglie come “un premio bello e importante: Bresson è stato per me un maestro, per il suo rigore e per la sua visionarietà quasi ascetica”.

*Il corto è stato realizzato nell’ambito del corso di alta formazione cinematografica “Bottega XNL – Fare Cinema” 2023, è il seguito del film breve, omonimo, realizzato nel 2019 da Bellocchio con i suoi allievi a Bobbio. 

 

 

 

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