Non sempre camminare guardando in basso, seguendo il tracciato che la punta dei piedi individua, è sintomo di tristezza o malinconia. Almeno in un caso può essere il segno di un rispetto o addirittura ricerca di stupore.
Un gesto automatico, quasi devoto, lungo il marciapiede più famoso di Hollywood. Per oltre due chilometri, su entrambi i lati della strada, si susseguono le famosissime stelle rosa dal contorno dorato. La Hollywood Walk of Fame è una striscia di stelle incastonate nell’asfalto, ma anche nella memoria del cinema. E ora, tra le sue piastrelle rosa e ottone, brillano due nuovi nomi italiani: Franco Nero e Carlo Rambaldi.
La storia comincia nel 1958, quando l’allora presidente della Camera di Commercio di Hollywood, E.M. Stuart, propose di creare un monumento permanente per celebrare i protagonisti dell’intrattenimento. L’idea venne accolta con entusiasmo e trasformata in progetto concreto: decorare i marciapiedi di Hollywood Boulevard e Vine Street con targhe dedicate alle celebrità. Dopo due anni di dibattiti, permessi e lavori, nel 1960 fu posata la prima stella: Joanne Woodward, attrice premiata con l’Oscar, moglie di Paul Newman, e volto perfetto per aprire la serie.
La Walk of Fame è diventata da allora un catalogo urbano del mito, una mappa emotiva dell’immaginario collettivo. Oggi ne conta più di 2.800. Non tutte meritate, non tutte volute. Alcune discusse, altre dimenticate, molte celebrate. Ma tutte incise, per sempre, tra il cemento e la memoria.
Sì, perché contrariamente a quanto si crede, non è Hollywood a decidere chi vi entra. Chiunque può proporre un nome: un agente, un fan club, un parente. A patto che il candidato abbia almeno cinque anni di carriera, una certa notorietà, e accetti di partecipare alla cerimonia. Altrimenti niente. Lo sa bene Bruce Springsteen: gli avevano offerto la stella, lui aveva detto no, e da allora hanno aggiunto una clausola al regolamento. La chiamano “Springsteen clause“.
C’è anche un prezzo da pagare, letteralmente. Ottantacinquemila dollari. Li sborsa di solito chi promuove la candidatura: case di produzione, etichette discografiche, sponsor. La cifra serve per creare la stella, installarla, organizzare l’evento, e finanziare la manutenzione di tutte le altre. Un business, sì. Ma anche una questione di pelle d’oca.
E allora emoziona vedere che tra i nuovi nomi del 2025 ci sono Franco Nero, ottantatré anni portati con fierezza da pistolero western, e Carlo Rambaldi, l’uomo che fece piangere il mondo con E.T. Il primo, un mito vivente, pronto a farsi festeggiare. L’altro non c’è più, ma verrà celebrato nel centenario della sua nascita. Due artisti che hanno portato l’Italia a Hollywood, e che ora tornano, sotto forma di stella.
Franco Nero è Django, certo. Ma anche il tenente Graziano, il giovane prete di Camorra, lo straniero spaesato di Querelle. Una carriera lunga, disordinata, libera. Gli americani lo adorano. La politica italiana l’ha definito orgoglio nazionale. Lui, in silenzio, sorride sotto i baffi.
Carlo Rambaldi invece non si vede, si sente. E.T., Alien, King Kong: mostri diventati umani, occhi spalancati sull’infanzia del mondo. Tre Oscar, una mano che disegnava l’anima. Il Ministero della Cultura e Cinecittà hanno sostenuto la sua candidatura postuma. Hollywood ha detto sì. E il marciapiede si prepara a ricevere una delle sue creature.
La Walk of Fame non è solo celebrazione. È anche cronaca e contraddizione. Non tutti ci vogliono entrare. Non tutti ne hanno bisogno. C’è chi considera quel tipo di riconoscimento superfluo, chi non ama le cerimonie pubbliche, chi preferisce lasciare che siano le opere a parlare. Julia Roberts ha rifiutato: “Non voglio che la gente cammini sul mio nome.” Una dichiarazione ironica, ma anche profondamente coerente con la sua distanza dall’effimero del sistema. Denzel Washington non ha mai mostrato interesse: selezionato anni fa, non si è mai presentato. George Clooney, a detta degli organizzatori, non trova mai il tempo. Clint Eastwood ha semplicemente declinato, più volte. Nessuna polemica, solo indifferenza. Madonna ha detto no. Prince ha detto: “Non è il momento giusto.” Poi il momento è passato. E forse va bene così. Anche l’assenza, a Hollywood, può diventare leggenda.
Poi ci sono le anomalie. All’incrocio tra Hollywood Boulevard e Vine Street ci sono delle stelle speciali in onore agli astronauti dell’Apollo 11. Ci sono due stelle con il nome Harrison Ford, ma non appartengono alla stessa persona: una è per un attore del cinema muto degli anni ’50, mentre l’altra è per la star del cinema che tutti conosciamo. Tra le stelle più particolari c’è quella di Muhammad Ali, che volle che la sua stella non fosse messa sul pavimento: per questo, si trova in una vetrina sul muro al numero 6801 di Hollywood Blvd. Le stelle rubate. Quelle vandalizzate. Quella di Trump, distrutta a colpi di piccone e subito ricostruita. Nessuna stella viene rimossa, neanche in caso di scandalo. Il marciapiede non fa revisionismo.
E poi ci sono i personaggi finti. Topolino è stato il primo, nel 1978, a ricevere una stella: un segnale chiaro che a Hollywood anche l’immaginazione merita il suo posto sul marciapiede della fama. Dopo di lui sono arrivati Godzilla, ambasciatore mostruoso del cinema giapponese; Kermit la rana, con la sua ironia verde acido e la voce di un’intera generazione; i Munchkin del Mago di Oz, piccoli e corali, eppure memorabili; Lassie, più eroina che cane. Non è solo omaggio: è riconoscimento dell’impatto emotivo e culturale che questi esseri immaginari hanno avuto nel tempo.
Creature che non invecchiano, non muoiono, non concedono interviste. Ma che continuano ad abitare la memoria collettiva con una forza che spesso supera quella degli attori in carne e ossa. Forse è giusto così. Forse serve anche a ricordarci che a Hollywood, più che altrove, realtà e finzione sono due facce dello stesso sogno.
Anche perché in fondo, questa è una fabbrica di sogni. Le stelle sono fatte di terrazzo rosa e ottone. Ci vogliono quattro giorni per crearne una, e un attimo per renderla eterna. Qualcuna nasce sbagliata: Julia Louis-Dreyfus si vide incidere il nome sbagliato, e si portò a casa la lastra difettosa come cimelio. Hollywood è anche questo: un errore corretto con grazia.
Camminare lungo la Walk of Fame è come sfogliare un album di famiglia: c’è chi ti ha cresciuto, chi ti ha deluso, chi non hai mai conosciuto ma senti vicino. E ora ci sono anche Franco Nero e Carlo Rambaldi. Due italiani che hanno lasciato un segno. Che ora diventa cemento.
Nel caos del presente, dove tutto svanisce in pochi scroll, c’è qualcosa di toccante nel sapere che un nome, inciso in un marciapiede, può restare. Calpestato, certo. Ma anche fotografato, ricordato, amato. Come una firma sulla storia dello spettacolo.
E magari un giorno, passando di lì, qualcuno si fermerà. Abbasserà lo sguardo. E sorriderà a un nome. Come si fa con un vecchio amico.
Dal muto fino alle serie Netflix, da sempre registi e sceneggiatori hanno preso d’assalto la Bastiglia con la stessa passione dei sanculotti. Ecco i film da non perdere per celebrare l’inizio della Rivoluzione
Tra la metafora dell'immigrazione e un riferimento diretto ai conflitti in atto, il reboot DC si dimostra interessato a tematiche politiche e attuali. Ma non è certo il solo: da Watchmen al Batman di Nolan, i supereroi sono spesso uno specchio della nostra società
Sta per arrivare in sala il Superman di James Gunn, già controverso prima di uscire. Ma il personaggio ha da sempre mille facce e interpretazioni... comprese quelle mai realizzate al cinema! Vediamole insieme, da Tim Burton a McG
Lo spettro del non detto e l’inseguimento del trauma condiviso: i Cold Case nazionali e la narrazione audiovisiva del sospetto, da Emanuela Orlandi a Denis Bergamini, passando per Avetrana e lanciando un’occhiata all’approccio d’Oltreoceano