C’è un tempo in cui i sogni si fanno rifugio e l’infanzia un regno minacciato da adulti senza grazia. Incanto di Pier Paolo Paganelli è una fiaba contemporanea che affonda le radici nei territori invisibili dell’anima, dove dolore e speranza s’intrecciano come fili dello stesso arazzo. Non è un film che si limiti a raccontare: è un gesto delicato, un sussurro contro l’indifferenza.
Margot (Mia McGovern Zaini), la bambina protagonista, ha dieci anni e un silenzio più grande di lei. Dopo la morte del padre Ludovico, viene affidata a Felicia (Vittoria Puccini), governante senza scrupoli interessata al suo patrimonio. La storia racconta che il papà avesse chiesto alla donna di trasformare la villa di famiglia in un orfanotrofio, così che la piccola crescesse più serena tra altri coetanei, ma Felicia, mossa dall’avidità, ha altri piani: con l’aiuto del suo complice Max (Claudio ‘Greg’ Gregori) sfrutta questi bimbi soli al mondo e isola Margot, che diventa muta per la violenza della perdita, è il tradimento degli adulti a zittirla. Paganelli costruisce attorno a lei uno spazio simbolico in cui l’infanzia violata cerca riscatto, non attraverso la vendetta ma nell’immaginazione.
Una notte, Margot riesce a fuggire e, dopo aver attraversato un bosco oscuro, trova rifugio in un circo. La sua fuga e l’approdo in quel luogo, poetico per eccellenza, segna la soglia di un mondo altro. Il clown Charlie, interpretato da un commovente Giorgio Panariello, è l’archetipo del genitore emotivo, capace di accogliere e guarire senza invadere. In questa inattesa famiglia di artisti e freaks, la bambina ritrova la voce, e con essa un’identità che non passa per la normalizzazione, ma per la differenza accettata e amata. L’attore fiorentino spiega che “il personaggio è scritto e pensato per me. È un clown come lo sono io nella vita e per il lavoro che faccio. Ha un lato umano e sentimentale nei confronti della bambina: io non ho figli ma ho avuto sempre un rapporto estremamente empirico con i bambini, una connessione con loro. Lui ha anche un po’ di mistero con il suo passato, vive con una maschera, non si strucca mai”. Panariello riflette che sì “sono mancato tanti anni dal cinema perché come Pier Paolo ce ne sono pochi che riescano a vedere oltre al commediante del sabato sera. L’Italia è fatta di pregiudizi. Se fai il sabato sera non puoi fare il cinema e viceversa. Siamo settari. Non è così nel resto del mondo. Un film così potrebbe diventare una serie tv”.
Felicia, nel corpo sottile e nell’eleganza fredda di Vittoria Puccini, è una villain insolita, non urla, non schiaffeggia: è l’indifferenza travestita da educazione, la maschera borghese di un potere che tutto controlla e nulla ama. Il film la contrappone non a un’eroina, ma a un sentimento: quello della tenerezza, che in Incanto è una forza attiva, resistente, capace di trasformare la realtà. “E’ la prima volta che faccio una cattivissima al 100%. Non volevamo farle degli sconti, non ha mai un momento di redenzione né pentimento. È una cattiva pura che per il suo scopo è capace di qualsiasi cosa e di calpestare chiunque si trovi davanti”, spiega Puccini, che sollecitata sulla similitudine di una “cattiva delle favole alla Disney” continua dicendo che “con il regista abbiamo pensato alla matrigna di Cenerentola e a Crudelia De Mon, ma qui l’abbiamo resa anche ridicola in certi momenti. Mi sono posta il problema di essere credibile: è stata una bella sfida”.
Incanto non è un film “per bambini”, anche se parla da vicino all’infanzia. È piuttosto una storia sulla responsabilità dello sguardo adulto: Paganelli sembra dire che ogni figura adulta della vicenda — che sia la Felicia avida o il Charlie compassionevole — è uno specchio per lo spettatore. Da che parte vogliamo stare?
La regia mantiene un tono sospeso, in equilibrio tra realismo magico e racconto morale: nulla è insistito, nulla è spiegato oltre il necessario. L’atmosfera luminosa, con un uso pittorico della luce che accarezza i volti e avvolge gli spazi del circo, rafforza l’idea di un mondo fragile ma salvifico.
Incanto sceglie la via dell’intimità e dell’emozione sottile, non vuole stupire ma ricordare che il mondo possa essere guarito solo se torniamo a prenderci cura di ciò che è fragile.
Il film di Paganelli esce il 3 luglio al cinema, distribuito da Adler Entertainment.
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