Appena 28 anni e una carriera più che decennale alle spalle. Celebre per i suoi ruoli in serie come Mare Fuori, La porta rossa, Noi siamo leggenda, Mike e in film come Il bacio e Il Sol dell’Avvenire, Valentina Romani è uno dei volti di riferimento del piccolo e del grande schermo italiano. Un’attrice generazionale che torna come co-protagonista della serie poliziesca Gerri, su Rai 1 dal 5 maggio, nei panni di Lea Coen, viceispettrice di polizia che costruirà uno speciale rapporto di fiducia con il personaggio di Giulio Beranek.
Valentina Romani, in Gerri, il protagonista è un ispettore di polizia rom: questo ci permette di ragionare sul tema del pregiudizio. Qualcosa che ti è capitato di fare con il personaggio di Naditza in Mare Fuori, anch’essa rom, e con la stessa Lea, di origini ebraiche.
Ho un giudizio sui pregiudizi: a volte siamo noi i primi ad avere dei pregiudizi sui pregiudizi degli altri. Una cosa, finché non viene effettivamente pensata, forse non esiste. Il pregiudizio nasce proprio da qua. Io mi sono sentita molto libera sia nell’interpretare Naditza che Lea, pur essendo due caratteri completamente diversi. Non nutro pregiudizi nei loro confronti, non ce l’ho mai avuti, anzi per me è stata solo un’occasione di conoscere nuove culture. Anche perché Naditza, ad esempio, è l’unico personaggio che porta un po’ di allegria, porta il sole nel racconto del carcere minorile di Mare Fuori. Stessa cosa vale per Lea: le sue origini non sono caratterizzanti.
Come hai costruito l’alchimia dentro e fuori dal set con Giulio Beranek?
La cosa bella è che io e Giulio ci conoscevamo già da prima, perché abbiamo lavorato insieme a una serie Rai che si chiamava Tutto può succedere. Avevo 18 anni. I nostri personaggi non avevano una linea comune, ma ci siamo conosciuti sul set e ci siamo poi incontrati negli anni, più volte. È stato molto facile lavorare con lui perché Giulio è un attore che ti mette molto a tuo agio. È molto accogliente. Non è giudicante e quindi ti senti molto libera a dare voce al tuo personaggio nel modo in cui lo vedi. Questo mi ha aiutato molto. Il gruppo che si è creato sul set è stato molto importante, non mancava mai occasione per scambiarsi opinioni, parlare e discutere delle scene.
Sei in una fase della carriera in cui iniziano ad arrivare personaggi diversi, da adulta. È qualcosa che ti entusiasma? Che personaggi vorresti interpretare nel prossimo futuro?
Lea è stato il primo personaggio che anagraficamente era più grande di me. Tendenzialmente hanno qualche anno in meno. Lo prendo come un complimento, ma mi piacciono i personaggi come Lea. Sono donne che sanno bastarsi è direi che di crocerossine siamo pieni. È bello vedere che finalmente cambiano i ruoli delle donne, non sono più a servizio dei personaggi maschili, ma hanno una loro linea verticale che durante la serie viene esplorata. Questo secondo me è molto bello è indicativo di un cambiamento che sta prendendo piede. È molto incoraggiante che da giovane adulta assistere e prendere parte a questo cambiamento. Mi piacerebbe fare tipo una supereroina, ma una roba tipo Marvel. Qualcosa che ha a che fare con i superpoteri, action. Mi divertirebbe.
Ti piace lavorare sull’aspetto fisico dei personaggi, dunque.
È importante ed è una cosa che ho capito con l’esperienza di doppiaggio che ho fatto qualche anno fa (nel film Pixar Elemental ndr.). Nell’attore corpo e parola vanno insieme. Si muove le mondo attraverso quello che dice, le battute che vengono scritte dallo sceneggiatore, ma anche attraverso il corpo: è un veicolo di comunicazione.
Hai esordito come autrice, scrivendo il tuo primo romanzo. È qualcosa che pensi di portare anche nel mondo del cinema?
Mi piace molto scrivere, è qualcosa che ho sempre fatto e che non smetterò di fare. Scrivere per me ha un potere salvifico, a volte mi aiuta a capire meglio le situazioni. Se non scrivo faccio fatica a farle sedimentare. La scrittura ha un superpotere: quello di permetterci di conoscerci meglio. Perché devi scegliere cosa dire per prima, ti costringe a scegliere la cosa più importante per te. Non l’ho mai vista come una possibilità nel mondo dell’audiovisivo. Scrivere una sceneggiatura è qualcosa di molto difficile. Ti confesso che, nella scrittura del romanzo, mi ha molto aiutato il provenire dal mondo dell’audiovisivo. Quando sentivo di essere bloccata, procedevo per immagini, e questo mi è stato concesso dal fatto che, facendo l’attrice, mi sono state sottoposte diverse sceneggiature, che sono delle letture che ti aiutano a procedere per immagini. Questo mi ha aiutato molto.
Vorrei chiederti un pensiero per Nanni Moretti, che è stato recentemente ricoverato e con cui hai collaborato ne Il Sol dell’Avvenire.
Ovviamente mi è dispiaciuto molto. Voglio molto bene a Nanni e al suo cinema. Sono molto felice che si sia ripreso e che possa continuare a nutrirci del suo incredibile cinema.
Che ricordi hai della tua esperienza a Cannes al suo fianco?
È un mondo molto affascinante, si vivono delle emozioni intensissime. Andarci con Nanni Moretti è stato un onore. Un film prestigiosissimo, di cui sono grata e orgogliosa. È stata un’esperienza bellissima, perché andarci con Nanni ti dà la sensazione di trovarti in uno spazio quasi familiare, pur non essendolo affatto chiaramente. Spero di tornarci presto.
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