Che qualcosa stia cambiando è chiaro. Lo si percepisce da un’inquietudine sottile che serpeggia nei racconti, da immagini che alludono a mondi in transizione, da corpi che si muovono in spazi che non li contengono più. Nella selezione italiana dello ShorTS International Film Festival 2025, tre cortometraggi in particolare — Nuovo ordine di Alexander Frizzera, Pinne di Carmelo Sudano e Io di Alessandra Salvoldi — tracciano, ognuno a suo modo, la mappa fragile e potentissima di un’esistenza in divenire.
Frizzera mette in scena un’era post-visiva, un manifesto minimalista ambientato tra le architetture futuriste dell’EUR di Roma. Il vento soffia da est — “the wind is blowing from the east” — e con esso arriva un mutamento che è più atmosferico che razionale, più sensazione collettiva che progetto consapevole. Il suo “soldato disco”, maschera elettro e divisa alla RoboCop , danza nella spersonalizzazione contemporanea, alludendo a un ritorno necessario al normale: meno colori caldi, meno eccessi, più equilibrio. La nuova era è una tensione verso il silenzio che riduce il frastuono, verso l’essenziale. Un invito a ridurre, riciclare, rientrare nei limiti della misura umana.
All’opposto, Pinne di Carmelo Sudano esplora il fuori luogo come poetica della relazione. Un uomo cammina lentamente in città con delle pinne da nuoto ai piedi. Straniamento, assurdo, marginalità? Forse. Ma quando incontra una donna che lo riconosce — anche lei portatrice di un segno di “altrove” — si rompe la distanza. Pinne è il racconto silenzioso di due solitudini che si incontrano non perché uguali, ma perché profondamente singolari. In un mondo che premia l’adattamento, loro si scelgono nella dissonanza. L’anomalia si fa bellezza. E nell’altro, ognuno riconosce un pezzo di sé.
Più viscerale, interiore e visionario è Io, di Alessandra Salvoldi. Quattro minuti che affondano nella carne, nella malattia, nel corpo che cambia, per raccontare un processo di rinascita che è anche un viaggio spirituale. Il labirinto di alberi in cui la regista si muove è un limbo simbolico tra vita e morte, dove l’“io” frammentato cerca coerenza, guarigione, integrazione. Le immagini sono dense di simboli: il melograno, i tarocchi, l’acqua del ruscello. La voce interiore guida lo spettatore tra ombre e luci, fino a una consapevolezza che trasforma il dolore in potenza. “Benedetto il frutto del seno mio che risorge”, dice Salvoldi, ricollegando la propria vicenda personale a un ciclo più grande, fatto di sette giorni, sette anni, sette secondi per diventare altro da sé.
Tre corti. Tre voci. Tre forme diverse per dire la stessa urgenza: quella di ridefinire ciò che siamo e ciò che vogliamo diventare. Che sia attraverso la denuncia dell’eccesso, la tenerezza dell’alterità o il confronto con il corpo malato, il cinema italiano breve dimostra, ancora una volta, che proprio nella sintesi può nascere l’impatto più profondo.
C’è un vento nuovo che soffia. La domanda è: saremo pronti a lasciarci attraversare?
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