BARI. Un capitano coraggioso, che amava sperimentare e rischiare, un produttore eclettico, capace di passare dai film popolari al grande cinema dei maestri, dai debutti d’autore ai musicarelli. Questo è il ritratto di Goffredo Lombardo,tycoon della Titanus, scomparso nel 2005 all’età di 84anni, che emerge dal documentario L’ultimo gattopardo firmato da Giuseppe Tornatore e presentato in versione definitiva al Festival di Bari – presto in Dvd – dopo essere stato in versione ridotta fuori concorso alla Mostra di Venezia. Il titolo è ispirato al costosissimo film di Luchino Visconti, tratto dal famoso romanzo di Tomasi di Lampedusa, con il quale il produttore rischiò il fallimento.
“La vicenda di Goffredo Lombardo è una storia di per sé avvincente. Attraverso di lui si ripercorre la storia di una dinastia, cominciata con il padre Gustavo, che è già protagonista nel momento in cui il cinema viene inventato e attraverso l’avvicendamento dal padre al figlio si arriva all’epoca della fiction televisiva. Una famiglia testimone di tutta la parabola storica del cinema”, spiega Tornatore che ha ricevuto dal governatore della Puglia Nichi Vendola il Premio Fellini 8½ ed è omaggiato dal Bif&st con una retrospettiva integrale della sua produzione.
A raccontarla sono le immagini dei film prodotti dalla Titanus guidata da Goffredo Lombardo e le testimonianze dei tanti artisti che hanno lavorato con lui o l’anno conosciuto, tra gli altri: Delon, Monicelli, Scola, Rosi, Sophia Loren, Lancaster, Olmi, Rondi, Lucherini, Morricone, Verdone, Rotunno, Lina Wertmuller, Argento, i fratelli Vanzina, Trovaioli, Claudia Cardinale, Caterina d’Amico, Tozzi, Morandi.
“Non ho incontrato ognuno di questi testimoni in un posto differente, ma ho scelto di radunarli nello stesso luogo e lì intervistarli per realizzare un certo effetto visivo”. Faticosa è stata per il regista siciliano la post-produzione, in particolare la selezione dei film di repertorio. La Titanus ha infatti una library ricchissima di titoli per cui ha avuto l’imbarazzo della scelta. E proprio questo repertorio viene proiettato alle spalle dei testimoni, così da dare l’idea del racconto visivo a più voci. “Non c’è il tradizionale commento del singolo, ma un testo preesistente e il coro dei testimoni che parla. Ciascuno recita un frammento, così che una voce apre un concetto, un’altra lo completa e un’altra ancora lo chiude”.
E’ stato il figlio Guido Lombardo a volere Tornatore che in passato aveva conosciuto Goffredo, in quanto produttore del suo debutto, e lo aveva frequentato per un bel po’ di anni. “Mi è sembrata l’occasione per dimostrare la mia gratitudine. Era un uomo dal carattere complesso, ma molto generoso nei confronti del cinema e dei registi che amava. Un uomo schivo, tant’è che con difficoltà ho trovato materiale di repertorio su di lui, qualche intervista e niente più. Tante invece le fotografie che ho utilizzato, in alcuni casi animandole per evitare il contrasto delle immagini fisse con il fluire di quelle di repertorio tratte dai film”.
Tornatore racconta che Lombardo all’iniziò rifiutò la sua opera prima Il camorrista. Gli sembrava un tema, un filone ormai esaurito perché in sala erano usciti con successo, ogni anno, i film sulla mafia che Damiano Damiani firmò dopo Il giorno della civetta. Il regista era invece convinto che fosse un tema scottante perché in quello stesso periodo si stava preparando il primo grande maxiprocesso contro la camorra. “Un po’ per disperazione un po’ per vedere se avesse ragione Lombardo, organizzai una conferenza stampa con l’attore Ben Gazzarra, protagonista poi del film, e il giornalista Giuseppe Marrazzo, autore del libro da cui il film era tratto. I giornali diedero un grandissimo spazio all’evento benché fossi uno sconosciuto, legando l’idea del progetto a quel maxiprocesso. A un giornalista che mi chiese chi avrebbe prodotto il film, risposi provocatoriamente Lombardo e la notizia apparve ovunque”.
Fu allora che Tornatore ricevette una sua telefonata arrabbiata: “Sei un figlio di… Mi hai incastrato… Intanto scrivete la sceneggiatura, poi vediamo”. Al fianco di Tornatore volle uno sceneggiatore di fiducia, Massimo De Vita, e chiese di preparare una doppia versione, per la sala e per la tv. “Il camorrista andò bene da Roma in giù e male da Roma in su, tuttavia Lombardo mi propose un’esclusiva che prevedeva 3 film in 5 anni. Ma i progetti da me pensati tra l’85 e l’87 rimasero sulla carta, erano anni di crisi: il pubblico disertava la sala e il cinema italiano”.
E’ allora che il regista presenta anche il progetto di Nuovo Cinema Paradiso, o meglio di Nuovo Cinema Italia come recitava il titolo originario. “Gli piacque, ma dopo il sì iniziale, rimase impaurito per la complessità del racconto, e mi disse che lo aveva convinto la storia orale ma non quella scritta. Alla fine il film che vinse l’Oscar non lo feci con lui ma con Franco Cristaldi, avuto il suo consenso. Ci separammo insomma da buoni amici”.
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