Takashi Miike: “Il mio mito è Sergio Corbucci”


Pare che Takashi Miike stia progettando addirittura una trilogia Sukiyaki. Così, dopo il western, arriveranno anche le amazzoni e un porno soft ispirato a Emmanuelle. Sempre con Quentin Tarantino, naturalmente. In ruoli cameo altamente autoironici, tra cui quello dello schiavo. La formula di riesumare b-movie e generi vari per cucinarli alla giapponese (il Sukiyaki è un tipico piatto locale a base di carne, tofu e salsa di soia) è potenzialmente inesauribile. E funziona, almeno a giudicare dall’entusiasmo dei fans tra cui il selezionatori di Venezia, che hanno offerto a Sukiyaki Western Django, come al precedente Izo, un posto d’onore nel concorso. Ma per l’autore di horror cult come The Call Non rispondere era ovvio essere qui nell’anno in cui si celebra il western all’italiana. “Noi li chiamavamo macaroni western e in Giappone erano molto diffusi alla tv quando avevo cinque o sei anni. Mio padre mi faceva restare alzato a guardarli e poi mi comprava revolver giocattolo per continuare la sparatoria. Ricordo ancora la bellezza dei film di Sergio Leone e la crudezza di quelli di Corbucci“, dice il regista, 47 anni, volto corrucciato e corpo magrissimo.

Sukiyaki Western Django si chiude proprio con un omaggio al film di Sergio Corbucci del ’66 perché uno dei pochi sopravvissuti alla carneficina di due ore che abbiamo visto sullo schermo è un bambino che da grande andrà in Italia e si chiamerà Django. Ad aprire il film è invece la comparsata di Quentin Tarantino, pistolero intabarrato in un poncho coloratissimo all’ombra di un gigantesco sole arancione e di un vulcano di cartapesta, uno capace di impallinare un serpente a sonagli per farselo arrosto. Da questo prologo -che è forse la cosa più divertente di tutto il film – ci ritroviamo in un fangoso villaggio con tanto di saloon in cui si fronteggiano due fazioni rivali, i bianchi e i rossi, e dove le sorti della sanguinolenta battaglia potrebbero essere dettate dall’arrivo di un pistolero senza nome, mentre un’amorevole nonna si rivela svelta di mano e prontissima di riflessi. Dopo due ore nel frullatore, l’impressione è quella di aver giocato a un videogame, con dosi di splatter e azioni che si ripetono sempre uguali ma sempre più acrobatiche. Però Takashi non lo ammette: “Sono permeabile a tutte le influenze, comprese le notizie del giorno. Ma trovo che tra passato e presente non ci sia gran differenza: il dolore e la morte dominano l’arte di ieri e di oggi”. L’amicizia con Tarantino, che vari tira e molla ha annunciato che non verrà al Lido perché “infortunato” (si è lussato una spalla durante un tifone a Manila), è nata invece proprio qui a Venezia, chiacchierando all’Hotel Excelsior. “Abbiamo capito subito di avere molto in comune e così ha accettato subito di venire a lavorare con noi”, racconta Takashi, che ha sua volta a recitato in Hostel di Eli Roth, di cui Quentin è stato produttore esecutivo.

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05 Settembre 2007

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