Susanna Nicchiarelli, anatomia di uno sguardo politico al femminile

Nata il 6 maggio 1975, ha esordito nel lungometraggio di finzione con ‘Cosmonauta’ (2009), e di recente ha diretto la serie ‘Fuochi d’artificio’, nel frattempo mettendo al centro del suo racconto cinematografico lo sguardo femminile, con ‘Nico, 1988’, ‘Miss Marx’ e ‘Chiara’


Nel territorio irregolare del cinema italiano contemporaneo, dove il rischio dell’omologazione narrativa è sempre in agguato, la visione cinematografica di Susanna Nicchiarelli spicca come una topografia autonoma, un sistema coerente di immaginario in cui il gesto artistico s’intreccia senza remore all’urgenza politica.

Nata a Roma nel 1975, il 6 maggio, con una formazione in Filosofia alla Sapienza e in Regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, Nicchiarelli ha saputo costruire un’identità autoriale chiara e riconoscibile, capace di transitare tra cinema e serialità mantenendo coerenza stilistica e tensione tematica.

Il suo sguardo è saldamente laterale: si muove lungo le crepe della Storia, nei margini dove agiscono soggetti quasi sempre femminili e quasi sempre refrattari alle narrazioni canoniche; la sua filmografia centrale si configura come una trilogia sulla disobbedienza delle donne alla norma – sia artistica, religiosa, politica o sentimentale.

Il battesimo terrestre di un’autrice spaziale, così si può raccontare lo spirito di Cosmonauta (2009), suo esordio nel lungometraggio di finzione, che mette in scena un’idea di cinema fortemente improntata alla dialettica tra sfera intima e contesto storico-politico, cifra distintiva nei lavori successivi. Ambientato nella Roma degli Anni ‘70 e raccontato attraverso lo sguardo di una giovane militante comunista affascinata dall’epopea sovietica dello spazio, il film si muove sul crinale sottile che separa l’ironia malinconica dalla critica sociale, ma ciò che rende Cosmonauta un’opera già  profondamente autoriale è la scelta di raccontare l’ideologia non come dogma, ma come forza formativa, come spazio affettivo, persino sentimentale. In Cosmonauta s’intuisce con chiarezza il nucleo caldo del suo cinema: la soggettività femminile come campo di battaglia tra desiderio, ideologia e memoria.

E su questa scia, ecco Nico, 1988 (2017): la voce dopo l’icona. L’autrice si confronta con la decostruzione dell’immagine mediatica. Il film non è un biopic in senso tradizionale ma un esercizio di resistenza estetica contro l’agiografia. Nico (Trine Dyrholm) – musa, modella, icona pop – viene sottratta al mito per restituirle la voce ruvida, dissonante, di una sopravvissuta: attraverso l’interpretazione intensa e priva di glamour, Nicchiarelli costruisce un road movie del disincanto, scandito da concerti, overdose e una maternità fantasmata che torna come ossessione etica. Il centro drammaturgico è la discesa nel tempo opaco dell’oblio, dove l’artista tenta di rifondarsi a partire dalla propria marginalità. Anche qui, come in seguito, il racconto si struttura attorno a una figura femminile in lotta con l’identità che il mondo le ha cucito addosso.

Si passa alla tragedia della coscienza con Miss Marx (2020), operazione cinematografica ancor più radicale delle precedenti: Eleanor Marx non è semplicemente la figlia di un filosofo, ma una figura straziante in cui si consuma il conflitto tra teoria e vita. Il dispositivo anacronistico – la colonna sonora punk, le rotture stilistiche, i montaggi ellittici – non è un vezzo postmoderno, ma una modalità per parlare al presente, per dire che le contraddizioni del femminismo ottocentesco non sono affatto superate. Eleanor è una donna che lotta per la liberazione altrui mentre non riesce a emanciparsi da una relazione affettiva tossica. In questo cortocircuito, Nicchiarelli costruisce un cinema della coscienza: etico, ferito, mai neutro.

E poi, con Chiara (2022), il sacro s’approssima alla ribellione, infatti la regista si misura con l’iconografia religiosa e ne scardina l’inerzia. La figura di Santa Chiara, anziché essere sublimata in santino, viene restituita nella sua potenza eversiva: una giovane donna rifiuta il matrimonio e la ricchezza per fondare una comunità spirituale femminile, autonoma e radicale. L’elemento musicale, che impariamo a riconoscere come “interprete” fondamentale e ricorrente nel cinema di Nicchiarelli, qui espressa con cori medievali, intermezzi stilizzati, introduce un senso di straniamento che tiene insieme il rigore e la leggerezza. Non è solo un film di ambientazione storica: è un esercizio di riappropriazione del sacro come spazio politico femminile, un gesto profondamente contemporaneo.

Con la recente incursione nella serialità televisiva con Fuochi d’artificio (2024), la regista cavalca il racconto episodico come laboratorio dell’identità. Negli Anni ’80, la serie racconta le vicende di un gruppo di adolescenti in una piccola città del Nord Italia, incrociando romanzo di formazione e critica sociale. Nicchiarelli adotta uno stile visivo sospeso tra realismo e sospensione, tra aspirazioni individuali e modelli normativi imposti dalla famiglia, dalla scuola, dal Paese. Se i suoi film precedenti si interrogavano sull’identità femminile a posteriori – donne adulte che fanno i conti con il fallimento, la fede, l’amore – qui lo sguardo si posa sull’identità in formazione, ancora fluida e vulnerabile.

La cifra distintiva di Susanna Nicchiarelli è la soggettività politica, è la sua capacità di coniugare la riflessione intellettuale con la materialità dell’esperienza. Le sue protagoniste non sono simboli, né eroine: sono corpi attraversati da ideologie, passioni, dolori, contraddizioni. Sono donne che pensano e che agiscono, che soffrono e che desiderano – e proprio in questo sta il loro potenziale politico.

Nel panorama di un cinema italiano contemporaneo spesso afflitto da manierismi e superficialità, Nicchiarelli rappresenta una voce con personalità, soprattutto perché interroga il presente attraverso figure del passato e lo fa con una lucidità che è insieme affettiva e critica. Il suo cinema – e ora anche la sua serialità – ci ricorda che la Storia, come l’identità, sia sempre una questione di montaggio: di ciò che si sceglie di mostrare, di come lo si racconti, e di chi si decida di ascoltare.

 

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06 Maggio 2025

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