‘Storia di una notte’: Foglietta e Battiston in elaborazione di un lutto

In sala dal 30 aprile con Rai Cinema e Tramp Limited il film di Paolo Costella, già alla Festa di Roma nella sezione Grand Public


Piero (Giuseppe Battiston) ed Elisabetta (Anna Foglietta) si sono incontrati, riconosciuti e amati in fretta, riuscendo a costruire una famiglia solida e felice. Ma oggi quella felicità, dopo la scomparsa del primogenito Flavio, è solo un ricordo. I loro figli adolescenti, Sara (Giulietta Rebeggiani) e Denis (Biagio Venditti), decidono allora di convincerli a trascorrere insieme, ancora una volta, la Vigilia di Natale a Cortina. Per loro non è solo una cena in famiglia, ma un tentativo coraggioso – e profondamente umano – di ritrovare il significato più autentico dell’essere uniti.

Quando Denis ha un incidente sulle piste da sci, la vacanza si trasforma in una lunga notte d’attesa, in cui riemergono verità nascoste e ferite mai guarite. La rottura della famiglia trova finalmente un nome, un volto, un passato a cui nessuno aveva voluto guardare davvero. Ma proprio in quella notte, tra silenzi e confronti, nascerà la possibilità di una rinascita. Perché, in fondo, “c’è sempre qualcosa che si può fare… e se non c’è, la devi inventare”.

In sala dal 30 aprile con Rai Cinema e Tramp Limited Storia di una notte di Paolo Costella, già alla Festa di Roma nella sezione Grand Public.

Il film è tratto dal romanzo ‘Nelle migliori famiglie’ di Angelo Mellone.

Dice il regista: “La lettura mi ha subito fatto venire alla mente un altro libro che pure ho molto amato: ‘L’anno del pensiero magico’ di Joan Didion. In entrambi si racconta un doppio dolore e se ne ricava la medesima sensazione, quella di identificarsi con chi ha vissuto una perdita insostenibile e si vede costretto a confrontarsi con un nuovo dramma che lo porta a intraprendere un difficile ma obbligato percorso di elaborazione del lutto. Un percorso, va da sé, che tocca temi profondi e smuove corde delicate in ognuno di noi e che quindi mi ha fatto sentire investito di una grande responsabilità, ma al tempo stesso mi ha fatto intravvedere un’occasione preziosa: affrontare un tema, quello del dolore, che la nostra società sembra sempre di più colpevolmente nascondere.

Il pensiero che mi ha accompagnato, dalla sceneggiatura scritta con Tania Pedroni fino alle riprese forte al mio fianco di un cast tecnico e artistico sensibile e sodale, è stato quindi di rifuggire qualunque rischio di retorica o di manierismo per accompagnare lo spettatore in un viaggio emotivo che fosse il più lucido e onesto possibile. Da qua la scelta di concentrare l’azione in un’unica giornata – non una giornata come le altre, ma la vigilia di Natale – e di ambientare l’intera vicenda in un’unica località – non una località qualunque, ma Cortina – per contestualizzare le vicende all’interno di un tempo speciale e di una cornice suggestiva capaci di intensificare l’urgenza dei protagonisti e di conferire a una tragedia contemporanea il sapore di racconto magico.

In una notte, infatti, in cui la realtà sembra porre dei confini insormontabili di fronte ai quali nulla si può fare, i nostri protagonisti si scoprono capaci di intraprendere un viaggio magico e spirituale nella natura per abbattere i confini della razionalità, aprire a nuovi imprevedibili scenari e raggiungere quella “leggerezza metafisica” che permetta loro di rientrare nella vita, riacquistandone il senso più profondo”.

Commenta ancora Costella: “Il dolore viene negato o più spesso spettacolarizzato. Io ho cercato di normalizzarlo e guardarlo in faccia senza timore ma anche senza eccessiva crudeltà, con tutta la delicatezza possibile. Il libro si sviluppa in più piani temporali, mentre noi abbiamo concentrato tutta l’attenzione narrativa sul presente, ci siamo spostati sugli individui più che sulla famiglia come istituzione la via di soluzione indicata dalla storia”.

Venditti commenta: “Un giovane attore si sente in mezzo a un gruppo di persone grandi e realizzate, stimolato e in crescita. Sono stato fortunato e protetto, da questa montagna di cultura, personalità e coraggio, in un’età in cui ancora non abbiamo il pieno coraggio di chi vogliamo essere davvero”.

Rebeggiani fa eco: “è un sogno a occhi aperte. Non solo ero in un mondo di grandi professionisti e maestri, ma anche con anime profonde, cuore e atmosfera che si viene a creare. Come una favola Disney che non finisce in malinconia ma ti rimane”.

Dichiara Foglietta: “E’ un film complesso, come ogni volta che si affronta il problema del dolore. Ci sono modi iconografici, modi alternativi e modi onesti. Conosco famiglie che hanno vissuto questo lutto e mi ha sempre colpito la loro capacità di stare al mondo e nella vita nonostante l’insensatezza della perdita di un figlio. E’ una violenza. Non esiste una parola che indichi la perdita di un figlio. Se perdi il marito sei vedova, se perdi un genitore sei orfano. Per i figli non c’è. Spesso si reagisce al trauma mettendo in atto associazioni, commemorando, piantando alberi, con gesti che risultavano ancora vitali. Elisabetta non ha avuto questa capacità. E’ stata irreggimentata in un corpo che non la riconosce. E’ bloccata da un punto di vista verbale, è diventata pesante. La vita ha impresso su di lei una nuova sostanza. E’ ancora vita, ma è cambiata. Ma se c’è qualcosa che le rende l’opportunità di reagire è la sua volitiva e vitale figlia che le impone una reazione. E poi la natura. Dirompente, violenta. Le montagne, la neve. E recupera la componente istintiva e animalesca. Quando un essere umano deve stare con sé stesso si mette a contemplare l’infinito, dalla cima di una montagna o dalla riva di un fiume. E’ il momento in cui si ripassa dalla sopravvivenza alla vita”.

Per Battiston: “C’è una missione rispetto a questo film. Va fatto capire allo spettatore che non si troverà davanti a un mattone. E’ la storia di una famiglia disgregata. Ce ne sono centomila. Anche io conosco una famiglia che pur avendo perso una bimba in tenera età non si è spezzata. I nostri protagonisti non hanno avuto la stessa fortuna, lo stesso slancio per superare, vivere e metabolizzare quel dolore. E’ importante che resti tutto intimo. Per ogni situazione e legame, non siamo un paradigma. Siamo una situazione in un determinato tempo e momento particolare, con due personaggi dalle diverse provenienze che si perdono. Ma quello che mi piace sottolineare è che di fronte alla minaccia di una nuova disgrazia a un tratto ricominciano, per paura, per vergogna, a guardarsi in faccia, negli occhi, poi si sentono e si capiscono in una forma comunque distante ma molto vicina a quella che avevano stabilito quando stavano insieme. Raccontiamo un amore che c’è stato, che non c’è più, ma non si può trasformare. Va contro la legge, è una tribù sgangherata ma con un sentimento e una situazione in cui tutti i componenti della famiglia si possono riconoscere. Non è un film che ha la sua cifra espressiva nel peso del dolore, ma nazi proprio nel superamento di esso, e nel riconoscimento dell’amore come elemento fondante dell’esistenza umana. Anche quando non c’è, ce n’è memoria”.

Circa le location, spiega il regista: “vicino al paesino c’è una natura potente. Già il libro era ambientato a Cortina, ma visivamente mi serve a far capire che in quell’ambiente si può recuperare una linea emotiva rilevante. Abbiamo girato con l’effetto notte americana e già si moriva di freddo, una scelta produttiva che poi è diventata artistica”.

Prosegue la sceneggiatrice Pedroni: “rispetto al libro abbiamo potenziato questo aspetto. Nel romanzo c’è la Cortina del paese, mentre abbiamo scelto di raccontare quanto il paesaggio rispecchi e nutra l’anima. Quella famiglia sopravvive, vuol tornare a vivere, grazie alla vitalità della figlia che fa sì che le loro esistenze preziose e fragili si esprimano nuovamente in tutta la loro forza”.

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30 Aprile 2025

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