Steven Soderbergh: il camaleonte del cinema contemporaneo

Arriva in sala il 30 aprile 'Black Bag - Doppio Gioco', il nuovo film di un regista che, dopo trent'anni di carriera, continua a reinventarsi


“Il pubblico vuole qualcosa di nuovo. Io voglio qualcosa di nuovo. Per questo faccio film” — Steven Soderbergh

Con l’imminente uscita di Black Bag – Doppio Gioco nelle sale italiane il 30 aprile, torna alla ribalta uno dei registi più eclettici, prolifici e sfuggenti del panorama hollywoodiano contemporaneo: Steven Soderbergh. Il film, che mescola spy-thriller e ironia noir, vede protagonisti Cate Blanchett e Michael Fassbender nei panni di due agenti coinvolti in un intricato complotto internazionale. Le atmosfere tese, la fotografia geometrica e il montaggio serrato riportano Soderbergh ai territori di The Limey e Haywire, ma con una leggerezza quasi hitchcockiana. Un nuovo capitolo nella sua incessante esplorazione dei generi e delle strutture narrative. Un filmmaker che, a dispetto di una carriera ormai trentennale e di successi clamorosi, continua a sfidare categorizzazioni e a reinventarsi costantemente.

Come John Huston

Fin dal debutto folgorante con Sesso, bugie e videotape nel 1989 — pellicola che non solo lanciò la sua carriera, ma contribuì a ridefinire il concetto stesso di cinema indipendente americano, rilanciando realtà come il Sundance Film Festival e la Miramax — Soderbergh ha dimostrato una versatilità e una produttività senza pari. Con 24 film diretti dal 1989 al 2024, eguaglia il record di Woody Allen nello stesso periodo, superando nettamente altri maestri come Spielberg, Scorsese o i fratelli Coen.

“Voglio la carriera di John Huston. Voglio fare molti film nel corso di un lungo periodo di tempo. E poi, se vorremo — io non voglio, ma qualcun altro potrà farlo — potremo tornare indietro e mettere ordine in tutto quanto”. ha rivelatoSteven Soderbergh in un intervista ad Anthony Kaufman nel 2002.

La sua filmografia spazia dai blockbuster hollywoodiani come la trilogia di Ocean’s a esperimenti digitali a budget ridottissimo (Bubble, Unsane), da film d’autore indipendenti (Che, Kafka) a produzioni mainstream con star di prima grandezza. Questa continua oscillazione tra centro e margini, tra tradizione e avanguardia, è forse la cifra più riconoscibile del suo stile.

Alla fine arriva George

Dopo una fase iniziale incerta — seguita al successo di critica di Sesso, bugie e videotape — in cui collezionò una serie di insuccessi commerciali tra il 1991 e il 1996 (Kafka, The Underneath, Gray’s Anatomy), la svolta arrivò con Out of Sight – Gli opposti si attraggono (1998), che segnò l’inizio della fruttuosa collaborazione con George Clooney. Il biennio 2000-2001 lo consacrò definitivamente grazie ai successi paralleli di Erin Brockovich – Forte come la verità e Traffic, entrambi candidati all’Oscar come miglior film e miglior regia, che gli valsero la storica doppia nomination in un solo anno — vinta poi con Traffic.

Il trionfo commerciale di Ocean’s Eleven nel 2001 (oltre 450 milioni di dollari al box office) gli garantì quella libertà produttiva che ha sempre cercato: la possibilità di alternare progetti commerciali e sperimentali. Con Clooney fondò la casa di produzione Section Eight, con cui ha supportato talenti come Richard Linklater, Todd Haynes e Christopher Nolan.

Black Bag, il nuovo film che approda nelle sale italiane, si inserisce in questa tradizione di tensione narrativa e sperimentazione formale. Il titolo evoca fin da subito i temi del mistero, del complotto, della scoperta — ricorrenti nella sua poetica cinematografica. La detection, l’investigazione e il disvelamento di verità nascoste sono nuclei narrativi presenti in molte delle sue opere: The Informant!, Effetti collaterali, Contagion, Mosaic, fino a Kimi – Qualcuno in ascolto, thriller girato in piena pandemia.

Contaminazione e direzione

Non meno rilevante è il motivo della contaminazione, intesa sia in senso biologico (come in Contagion) sia metaforico — una costante riflessione sulla corruzione (morale, politica, sistemica) e sulle zone grigie dell’animo umano. I protagonisti soderberghiani si muovono spesso in territori ambigui, incerti, a cavallo tra etica e sopravvivenza, tra indagine e complicità.

Soderbergh è anche un maestro nella direzione degli attori, capace di ottenere performance sfaccettate da interpreti molto diversi tra loro, e di gestire ensemble numerosi con una leggerezza e un’efficacia che pochi possono vantare. Dalla Julia Roberts premio Oscar in Erin Brockovich ai cast corali di Ocean’s, ha sempre dato prova di una regia centrata sull’umano, capace di valorizzare la presenza scenica e la personalità dei suoi interpreti.

Anche sul piano tecnico Soderbergh ha anticipato molte tendenze: montatore e direttore della fotografia dei suoi stessi film (spesso accreditato come Peter Andrews e Mary Ann Bernard), ha sperimentato con la tecnologia digitale, con il formato seriale (The Knick, Mosaic) e con la distribuzione (La truffa dei Logan fu auto-distribuito, High Flying Bird rilasciato su Netflix).

Black Bag rappresenta l’ennesima prova di un artista che, pur avendo più volte annunciato il suo ritiro per dedicarsi alla pittura o al teatro, continua a sorprenderci con opere nuove, sfidanti, vitali. Il pubblico italiano avrà ora l’occasione di assistere a una nuova trasformazione di questo camaleonte del cinema contemporaneo, capace di reinventarsi senza mai tradire la propria visione.

Steven Soderbergh, il regista che cambia pelle, ma mai sostanza.

autore
26 Aprile 2025

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