Specchi magici e CGI in dieci anni di remake Disney

Mentre 'Lilo & Stitch' torna in sala in formato Live-Action, cerchiamo di capire perché la casa di Topolino stia scommettendo tutto sulle riletture dei grandi classici che hanno fatto la sua fortuna


Nel 2015, Kenneth Branagh si mise in punta di piedi su una pantofola di cristallo e ci ricordò che Cenerentola non era solo un vecchio cartone animato del ’50 ma un marchio ancora perfettamente lucidabile. Il live action Disney moderno era nato. Dieci anni dopo, con l’arrivo di Lilo & Stitch in versione fotorealistica, possiamo fare un bilancio: cosa ci dicono queste riletture? Perché ci piacciono (se ci piacciono)? E soprattutto: perché continuano a farli?

Il fascino del deja-vu vestito a festa

C’è qualcosa di irresistibile nel vedere il passato rifarsi il trucco. Soprattutto se il trucco costa oltre 100 milioni di dollari. La Disney lo sa e ci ha costruito sopra una piccola miniera d’oro. Da Il libro della giungla (2016) a La bella e la bestia (2017), da Aladdin (2019) a Il re leone (sempre 2019, ma con più pixel e meno espressioni facciali), ogni rifacimento è un’operazione chirurgica di nostalgia e tecnologia. A volte riesce (vedi Crudelia), altre volte ci lascia la sensazione di aver mangiato la stessa torta due volte, solo più asciutta.

Il dilemma è antico: essere fedeli all’originale o provare a reinventare? La Disney spesso ha scelto la prima strada, temendo forse il giudizio dei fan con le magliette a tema. Ma la fedeltà, nel remake, è un campo minato. Se segui tutto passo per passo, il film sembra una copia carbone senza anima. Se cambi troppo, rischi il linciaggio social. Risultato: molti remake si muovono come funamboli su un filo sottile, cercando l’equilibrio tra reverenza e aggiornamento. Con esiti, va detto, molto variabili.

Successi, trionfi e inciampi rovinanti

In questi dieci anni, il vero nodo non è solo capire cosa ha funzionato cinematograficamente, ma cosa ha lasciato un segno, cosa ha saputo trasformare un semplice “successo” in un “trionfo”. Perché ci sono remake che incassano, ma vengono dimenticati prima dei titoli di coda. E altri che lasciano un’eco.

Crudelia (2021) ha osato, e ha vinto: ha preso un villain dai contorni mitici ma piuttosto bidimensionale e l’ha trasformato in una protagonista sfaccettata, persino empatica, vestita di vendetta sartoriale e ribellione punk. Il film, con le sue atmosfere da fashion-thriller anni ’70 e la doppia interpretazione di Emma (Stone e Thompson), è riuscito lì dove altri avevano fallito: creare un universo visivo e narrativo autonomo, senza perdere il legame emotivo con l’immaginario disneyano. Trionfo.

Maleficent (2014), con Angelina Jolie, aveva aperto la strada: non più solo remake, ma riscrittura dei punti di vista. Non più fiabe, ma revisionismi. Non solo un film riuscito, ma uno spartiacque produttivo. E Cenerentola (2015), pur seguendo da vicino il canone, aveva saputo aggiornarlo con grazia e misura.

All’opposto, è impossibile non citare Il re leone (2019) come il paradigma del “successo senz’anima”: incassi stellari, ma emozioni che vacillano. Come ha ironicamente riassunto un articolo di BuzzFeed, “perché abbiamo trasformato Il re leone in un documentario naturalistico senza David Attenborough?”.

E poi Mulan (2020), che prometteva epica storica ma ha offerto un pasticcio culturalmente spaesato, privo di Mushu, di ritmo e, spesso, di senso. Dumbo (2019), tanto fotorealistico da risultare emotivamente insostenibile. Pinocchio (2022), afflitto da una sceneggiatura automatica e una direzione visiva in cerca d’identità. O Biancaneve (2025), che già prima dell’uscita è stato bersaglio di meme e critiche per nani digitali inquietanti e una regina cattiva più kitsch che temibile. Alla fine, anche il pubblico ha fatto spallucce: gli incassi sono stati sotto le aspettative, segnando una delle peggiori performance al box office per un remake Disney degli ultimi anni. E allora: perché farli?

Lilo & Stitch e il punto di rottura (o di ritorno)

A Lilo & Stitch il compito di darci un’altra risposta. Il film del 2002 di Chris Sanders e Dean DeBlois non è uno dei classici maggiori, non è stato pensato come una gallina dalle uova d’oro. Lilo & Stitch è una storia intima, assurda, dolcissima. Un film che parlava di famiglie spezzate, alieni problematici e ragazzine arrabbiate.

Eppure lo è diventato, a modo suo: nel tempo, il film è cresciuto in popolarità, diventando un piccolo culto transgenerazionale e trasformandosi in un autentico fenomeno di merchandising. Il suo protagonista blu, fuori di testa ma tenerissimo, è finito su zaini, pigiami, tatuaggi e tazze da colazione: un’icona affettiva, più che commerciale.

Farne un remake live action significa muoversi su un filo molto più sottile: qui il cuore conta più del budget, ma il trailer ha acceso discussioni, il design di Stitch ha diviso. Ma al di là delle orecchie e dei denti, la vera domanda è: riusciranno a rifare quel miracolo? Perché Lilo & Stitch non è stato un campione d’incassi, ma è rimasto nel cuore di molti. E oggi, forse, più che un altro blockbuster, abbiamo bisogno di storie così.

La morale della favola

Oggi i remake non sono più solo film, ma eventi transmediali. Servono a rilanciare l’IP, a riempire i parchi a tema, a nutrire il catalogo streaming. Ma c’è anche qualcosa di rituale: sono cerimonie del riconoscimento. Andiamo al cinema per rivedere la nostra infanzia, con un pizzico di novità, ma non troppa. La sicurezza del già noto. Come un vestito d’infanzia ritrovato in un baule.

Il problema nasce quando l’abito non calza più. O quando viene ricucito male. All’orizzonte (e oltre) ci sono ancora decine di progetti: a cominciare da Hercules, prodotto dai fratelli Russo, altri sequel, prequel, spin-off. Il pericolo è l’assuefazione. La sfida, invece, è recuperare senso. Perché è facile replicare un volto, ma molto più arduo replicarne l’anima.

E se la Disney vuole davvero incantare di nuovo, deve ricordarsi che il successo non è il traguardo. Il trionfo, quello che resta, lo si raggiunge solo quando riesci a far credere al pubblico che sta vedendo qualcosa di familiare eppure mai visto.

Dieci anni dopo quel ballo con la scarpetta, la Disney continua a raccontarci fiabe specchiandosi nei propri riflessi. Alcuni splendono, altri si appannano. Ma se c’è una lezione che Stitch ci ha insegnato, è questa: Ohana vuol dire famiglia. E famiglia vuol dire che nessuno viene dimenticato. Nemmeno i cartoni animati. E nemmeno le versioni venute peggio, purché servano a ricordarci quali erano quelle fatte col cuore.

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24 Maggio 2025

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