Se Rivette rilegge Balzac


BERLINO – La Berlinale volge al termine e le classifiche di quotidiani e riviste specializzate qui al festival restringono la rosa dei favoriti, dove figurano The good shepherd, Irina Palm e il tedesco Yella, uno sguardo sull’unificazione della Germania e le conseguenze nel mondo del business, ma in chiave paranormale, firmato dal beniamino di casa Christian Petzold. Intanto è passato in concorso anche Ne touchez pas la hache di Jacques Rivette, che meriterebbe certamente un premio se l’Orso fosse assegnato dai critici. Francese, ma anche un po’ italiano, perché coinvolge Cinemaundici ed Ermanno Olmi (oltre a Cicutto e Musini) tra i suoi produttori, il film di Rivette, dopo i contemporanei Va savoir e Histoire de Marie et Julien, pratica la via scivolosa della ricostruzione d’epoca e riesce perfettamente dove molti altri cadono: nel dare verità, senza rinunciare all’adesione storica e a una costruzione drammaturgica prosciugata di ogni fronzolo.
La novella di Balzac (è intitolata “La duchessa di Langeais” e fa parte della “Commedia umana”) fotografa, attraverso un melodramma amoroso, la superficialità e il vuoto di un’intera classe al potere, nella Francia della Restaurazione, evidentemente ancora incerta se rimettere in piedi anche l’edificio della “doppia morale” Ancien Régime (si vedano le splendide conversazioni tra i personaggi più maturi del racconto, in particolare Michel Piccoli e Bulle Ogier).

A Parigi nel 1823 l’ufficiale bonapartista Armand de Montriveau s’infatua al primo sguardo di un’aristocratica bella e vanitosa (Jeanne Balibar) dotata di un guardaroba inesauribile e di uno spirito aguzzo come il suo profilo. Sposata senza condividere col marito che il casato, passa da un ballo a un ricevimento a una festa. È attratta dai racconti dell’ufficiale, che ha visto la morte in faccia e che ha il viso segnato dalle (autentiche) cicatrici di Guillaume Depardieu: lo ammette dunque nel suo boudoir, ogni sera dalle 8 alle 10, ma senza mai concedersi, per motivi di volta in volta morali o religiosi o per salvare le apparenze, ma in realtà godendosi il gioco fino al giorno in cui Armand non capovolge radicalmente i ruoli trasformandosi in un ben più inesorabile e spietato carnefice.
Non una storia d’ossessione amorosa, alla Adele H, ma piuttosto la descrizione di una battaglia tra i sessi con il retrogusto amaro di una duplice sconfitta, Ne touchez pas la hache aspira a una fedeltà millimetrica al testo letterario (con l’unica aggiunta di una breve scena tra una serva e un servo della duchessa che avviene in cucina) di Balzac, scrittore che, Rivette confessa, “mi è molto difficile leggere: ci ho provato invano per più di trent’anni, eppure Rohmer mi aveva avvertito, per fare cinema leggi Balzac e Dostoevskij”. Si vede che nella maturità dell’esponente forse più appartato della Nouvelle Vague il consiglio ha dato i suoi frutti.
Nel cast anche Remo Girone e Victoria Zinny, mentre l’ascia del titolo rimanda a un aneddotto raccontato da Armand alla duchessa e riferito allo strumento che aveva decapitato il re d’Inghilterra Carlo I.

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15 Febbraio 2007

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