“Posso crescere da sola. Grazie”. Ha le idee chiare Georgie, 12enne della periferia di Londra, che rimasta sola dopo la morte della madre, decide che se la caverà tranquillamente senza l’aiuto di un adulto. Con le sue due lunghe trecce bionde, gli apparecchi acustici e la maglia bordeaux-azzurra del West Ham, è lei la “attaccabrighe” (o più sottilmente “rottamatrice”) a cui fa riferimento il titolo di Scrapper, opera prima di Charlotte Regan disponibile dal 16 novembre in esclusiva su RaiPlay dopo l’anteprima al Giffoni e aver vinto il Gran Premio della Giuria nella sezione World Cinema Dramatic al Sundance 2023, lo Young Audience Award degli European Film Award, il British Independent Film Award for Breakthrough Producer.
Accompagnata dal suo amico Ali, Georgie (interpretata dalla sorprendente Lola Campbell) si dà da fare come scaltra ladra di biciclette e abile manipolatrice delle persone che la circondano. Fingendo la presenza in casa un fantomatico zio, la ragazzina è indipendente – nei limiti in cui può esserlo una pre-adolescente – e sta cercando di capire in quale delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto si trovi. Il suo morboso desiderio di lasciare i cuscini del divano come li voleva la madre, il desiderio di riguardare a ripetizione i video di lei nel cellulare e l’ambizioso progetto che tiene nascosto in una stanza della casa, però, ci fanno capire che un aiuto le sarebbe quantomai necessario. E quell’aiuto arriva all’improvviso scavalcando la staccionata: ha il volto dell’attore Harris Dickinson (già noto per Triangle of Sadness e la serie A Murder at the End of the World), i capelli decolorati e rivela da subito di essere il padre che non ha mai conosciuto.
Scrapper indaga sostanzialmente il rapporto tra Georgie e questo padre venuto fuori dal nulla, Jason, un trentenne scapestrato che si trova costretto a mettere una pezza a tanti errori compiuti quando era ancora più giovane e immaturo. In questa sorta di coming-of-age alla rovescia, troviamo un uomo che deve finalmente crescere e una bambina che deve smettere di farlo. Imparando entrambi a riconoscersi come padre e figlia, scopriranno di avere molto più in comune di quanto credevano: la stessa fantasia, sfacciataggine e sprezzo del pericolo che li porterà a unirsi per la prima volta in un fallimentare furto di biciclette.
La regista britannica ci racconta di un contesto sociale che ben conosce e lo fa senza patetismi, ma con un toccante afflato fiabesco che sembra fondere la poetica di Ken Loach, con il suo racconto della classe operaia britannica, allo stile di Wes Anderson, con i colori accesi delle case, degli oggetti, dei vestiti. Va in tal senso anche la scelta di far rompere la quarta parete ai personaggi secondari con delle improbabili “interviste” frontali che ci raccontano un forte senso di comunità. Un’altra scelta registica di spessore è quella di utilizzare campi medi o lunghi e camera fissa per restituirci la sensazione di stare osservando da lontano la vita dei nostri protagonisti, spiando nella loro intimità di persone qualsiasi, proprio come noi.
Con una semplicità costellata da frequenti piccole idee di scrittura e di messa in scena, Scrapper ci mostra tutto il potenziale dei migliori film indipendenti, capaci di attrarre l’attenzione fin da subito con personaggi vistosi e memorabili (la piccola Georgie lo è senz’altro), per poi portarci con sé fino a dei momenti di pura e struggente emotività. Riuscire a trasmettere ottimismo con un film in cui si parla di lutto, solitudine, difficoltà economiche, familiari e sociali, non è affatto scontato. Un’impresa rara che all’ottima Charlotte Regan è riuscita al primo colpo.
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