TAORMINA – Tra gli ospiti che stanno riempiendo di glamour i red carpet, i photo call e il Teatro Antico del 71° Taormina Film Festival, ce ne è uno inevitabilmente più atteso: si tratta di Martin Scorsese, uno dei più influenti, talentuosi, prolifici e amati registi della storia del cinema. Figlio di immigrati siciliani, la storia di Scorsese è legata a filo stretto a quella dell’Italia, di Roma in particolare. Nella Capitale ha girato il suo “unico western” Gangs of New York, “rappresentazione del quartiere in cui è cresciuto”, Five Points, ricostruito per intero a Cinecittà, e ha appena finito di girare la serie Saints.
“La serie racconta la vita dei Santi. Alcune location sono in Serbia e Marocco, ma a Roma ci siamo occupati di Santa Lucia, San Paolo, San Patrizio e anche della Madonna. Sono film brevi della durata di meno di un’ora” ci racconta in un incontro stampa il regista, che però non si ferma qui nella sua indagine sulla spiritualità.
“Sto ancora lavorando al film sulla vita di Gesù, perché mi piacerebbe dare un approccio più contemporaneo al progetto. – spiega – Ho deciso di fare un film sul Vangelo già nei primi anni ’60, e doveva essere un film in bianco e nero. Vivevo nel Lower East Side di New York e frequentavo la NY University, che hai tempi accettava solo 30 studenti. Ci sono state tante cose che sono accadute nel frattempo, ho visto tantissimi film, come Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, che era un lavoro così buono che mi ha fatto desistere. Quando ho lavorato a L’ultima tentazione di Cristo, ho continuato a ricercare e studiare: un percorso che mi ha portato a Silence. Credo che un lavoro di questo tipo richieda tanti anni di ricerca, non sempre le idee ti portano a un progetto che si riesce a concretizzare subito. Forse mi ci vorranno dei mesi”.
“Ho grandi speranze sul nuovo Papa. – rivela – Credo che possa avere un giusto approccio a cosa accade nel mondo. Non mi interessa che sia americano, perché il Papa deve essere di tutti, come è stato per Francesco, che non era solo un Papa argentino, ma era capace di abbracciare tutta l’umanità”. Proprio Scorsese firma il documentario Aldeas – A New Story, in cui si troverà “l’ultima intervista a Bergoglio”.
Ma da nove nasce questa sua fortissima spiritualità che ritorna così frequentemente anche nel suo cinema? “La religione ha sempre fatto parte della mia vita. Ho sempre sofferto asma e gli unici posti in cui trovavo conforto erano due: la Cattedrale di San Patrizio a NY e la scuola di teatro. Il mio mentore è stato un giovane prete, che mi ha fatto conoscere Joyce e che mi ha insegnato un approccio diverso. Perché sono figlio di migranti e la vita dei miei genitori a Polizzi Generosa era molto diversa dalla mia New York”.
“La mia esperienza in seminario è durata meno di un anno – continua – Non ero tagliato per quella vita, ma mi è servito a capire qual è il significato della vocazione. È qualcosa che senti dentro ma che ti porta anche a stare fuori da te. Quello era il periodo in cui stava nascendo in me la passione per il cinema. Un periodo fondamentale perché ho capito che la mia vocazione era cinematografica, era quella di raccontare storie. Sono nato e cresciuto in un quartiere dove c’era la criminalità organizzata. Se qualcosa andava storto te la facevano pagare. Le storie e i personaggi che ho scelto di raccontare avevano sempre un background di questo tipo, per questo il percorso cattolico e spirituale fa da sfondo a tutti i miei film perché ha significato qualcosa per me, soprattutto nella mia infanzia”.
Inevitabilmente si arriva a parlare di attualità. “La storia si ripete sempre, gli scontri che stanno avvenendo oggi a LA sono simili a quelli che accadevano con i siciliani e i napoletani all’epoca. – dichiara Scorsese, che nei suoi film ha sempre raccontato le conseguenze violente dello scontro tra culture – È il destino di tutti i gruppi di persone diverse, che entrano all’interno di una comunità già formata: quando il diverso prova a integrarsi gli scontri si verificheranno sempre. Il conflitto tra chi c’era prima e chi arriva prima è l’unico modo per arrivare ad essere assimilati. Senza conflitto non può esserci inclusione”.
Seguendo l’esempio di Michael Douglas, ospite a Taormina pochi giorni fa, anche il cineasta newyorkese si dice deluso dalle elezioni presidenziali. “Non sono un filosofo politico, ma credo che un atteggiamento così possa essere controproducente. La rabbia e l’odio fanno solo male alle persone. – commenta – Bisogna fare molta attenzione al sentimento della rabbia, perché la rabbia ti può consumare”.
Ciò che lo spaventa maggiormente, però, è la perdita di una concezione chiara della verità. “L’IA e la tecnologia non ci permettono di capire dove sta la verità. – conclude – Mi devo sempre fermare a chiedermi se quello che sto guardando sia vero o falso. Può essere la fine della democrazia. Il ruolo del cinema è raccontare la verità al mondo. Bisogna guardare in strada e chiedere alle persone cosa sta accadendo, ascoltare la loro voce: solo così si può arrivare alla verità più profonda”.
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