BERLINO Proiezione aggiuntiva dell’ultimo minuto e, nonostante questo, parecchi spettatori rimasti fuori dalla sala, per un film che sta facendo molto parlare di sé alla Berlinale: Khodorkovsky, con cui il regista tedesco Cyril Tuschi – dopo cinque anni di ricerche e interviste, e con un budget di soli 400mila euro – mette il naso nella controversa storia dell’ex patron della Yukos Mikhail Khodorkovsky, asceso all’olimpo della Russia capitalista, poi decaduto con una condanna per frode e infine rientrato in patria dopo un esilio nonostante sapesse che sarebbe stato incarcerato. Per raccontare “come l’uomo più ricco della Russia è diventato il suo prigioniero più celebre” ed entrare nei meandri di una trasformazione epocale, da perfetto burocrate socialista a perfetto capitalista che arriva a sfidare persino Putin, fino alla reclusione in Siberia. E dev’essere stata un’odissea anche la realizzazione del film, se è vero che, come racconta Tuschi, a questa presentazione tedesca erano stati invitati molti altri testimoni, protagonisti del documentario, “ma sono sulla lista dell’Interpol e non possono venire in Germania, anzi vorrei capire come funziona questa cosa, e perché per loro non è sicuro venire qui”. La vicenda, che mette in campo una feroce rivalità tra Khodorkovsky e Vladimir Putin, cela tanti punti oscuri e fa paura a molti, ma non al regista: “Il tema della paura era al centro di questo film, ma io non voglio esserne governato. Quando chiedevo le interviste tutti mi chiedevano: Sei una spia? Chi ti paga? Ma il giornalismo non sempre è pagato… Siamo riusciti a fare l’unica intervista a Khodorkovsky da quando è in prigione, tutti ci chiedono come abbiamo fatto, ma è bastato chiedere. Nessuno osava farlo. E la risposta positiva è stata talmente rapida che quando mi sono trovato davanti a lui ho persino dimenticato le domande che dovevo fare”.
Naturalmente non mancano nemmeno le polemiche. Qualcuno ha accusato il regista di essere stato troppo tenero nei confronti del protagonista e troppo duro verso Putin, ma Tuschi risponde: “Non ci sono prove definitive a suo carico e c’è sempre la presunzione di innocenza. Io non sono un avvocato, ma ci tengo a dire che nel film ci sono anche voci critiche verso Khodorkovsky”. Poi un giornalista chiede se questa storia non sia quella di un uomo vittima di un sistema che si è costruito da solo, e il regista commenta: “Volevo fare un film di finzione sullo scontro tra Khodorkovsky e Putin, ed è un fatto che Khodorkovsky perde”. Nella pellicola si alternano testimonianze e ricostruzioni animate, perché Tuschi non voleva un film di “teste parlanti” e perché di alcuni eventi si conoscevano i fatti ma non si avevano testimonianze a disposizione, e “anche quelli andavano narrati”. Passato alla Berlinale in Panorama Documenti, Khodorkovsky non avrà vita facile in Russia: “In molti vorrebbero vedere questo film lì – dichiara la produttrice Simone Baumann – ma non credo sia possibile avere una buona uscita. Forse sarà visibile attraverso i festival, e poi la pirateria copre il 90% del mercato, quindi non ci preoccupiamo, i russi lo vedranno”.
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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