Gli intrecci tra esperienze di guerra diverse ma unite dal filo rosso del dolore e della rimozione. Si misura con un tema duro il regista italo-svizzero Rolando Colla, classe 1957, che dopo il passaggio a Locarno 1998 con Una vita al rovescio, premio al miglior film della giuria dei giovani, è di nuovo in concorso al festival diretto da Irene Bignardi con Oltre il confine.
Un sguardo, come già No Man’s Land di Danis Tanovic e Il temporale di Gian Vittorio Baldi, sul conflitto serbo-bosniaco. Ma, dice il regista, “Mentre Tanovic ha scelto l’ironia come risposta alla follia della guerra, io ho messo in scena la disperazione”.
Racconta la storia di un profugo bosniaco (l’attore di Sarajevo Senad Basic) che si prende cura di un reduce italiano della seconda guerra mondiale. La figlia del vecchio (Anna Galiena), coinvolta e stupita da questo comportamento, comincia a indagare sul suo passato finché decide di partire per la Bosnia e, nel corso del viaggio, inizia ad esplorare il trauma rimosso della guerra.
Frutto della partnership produttiva tra l’italiana Micla Film e la zurighese Peacock Film, il film è scritto a 4 mani dal regista e Luca Rastello, giornalista e volontario in molte missioni umanitarie nei Balcani.
Come è nata l’idea del film?
All’inizio pensavo a mettere in scena l’incontro tra un bambino e il padre reduce della seconda guerra mondiale. Un’esperienza vissuta da mia madre ma che in Italia si sta perdendo. Nessuno ricorda più la guerra: lo dimostra anche la prossima chiusura della “Casa militare Umberto I” di Turate, ricovero per veterani di guerra, dove ho girato alcune scene del film. Ma dopo la lettura di La guerra in casa, libro in cui Luca Rastello racconta la tragedia dei profughi bosniaci, ho voluto intrecciare due esperienze di conflitto accomunate dal dolore e da un trauma che, come ci ha insegnato la psichiatria, genera la rimozione.
Ha girato in Bosnia, E’ stato difficile?
Molto. Per ottenere i permessi dallo Sfor, le truppe di stabilizzazione della Nato, abbiamo impiegato mesi. Abbiamo girato soprattutto a Varesh, città con circa 10.000 abitanti a 50 km da Sarajevo, molto triste. Ci ha aiutato una casa di produzione di Sarajevo che, come la gente del posto, ha colto il nostro atteggiamento di rispetto. Prima delle riprese ho fatto vari sopralluoghi per trovare le location e fare il casting. Ci tenevo a girare con attori locali: hanno un grande background e una grande umiltà. Poi hanno vissuto la guerra in prima persona e ciò dà al film uno spessore di verità. Abbiamo girato in italiano ma le parti bosniache sono in inglese con alcune battute in serbo croato.
Perché ha usato la macchina a spalla?
Perché lo stile di Oltre il confine è vicino al documentario e, a differenza del carrello, la macchina a spalla dà una sensazione di vicinanza ai luoghi e agli eventi. Nelle inquadrature ho evitato qualunque accento spettacolare per puntare sull’aspetto emozionale. Nulla a che vedere quindi con il Black Hawk Dawn di Ridley Scott. Il mio obiettivo è l’autenticità. Una lezione tratta dal cinema di Cassavetes mentre Kieslowski mi ha trasmesso l’attenzione per gli aspetti psicologici.
Com’è stato il rapporto con Anna Galiena?
Ci siamo avvicinati lentamente. Sul set non lascio nessuna libertà agli attori. Li tratto con grande rispetto ma anche con autorità. Anna ha reagito bene al mio metodo.
Nel cast c’è anche Bojana Slyvic, una bambina bosniaca che ha beneficiato di un progetto umanitario italiano. Che ruolo interpreta?
E’ la figlia del protagonista che durante la guerra rimane in Bosnia finché Anna Galiena non decide di andare a prenderla. Ho incontrato Bojana e sua madre più volte prime delle riprese per accertarmi che volesse davvero fare il film. Durante le prove ho scoperto che ha uno sguardo interessante e nessuna soggezione della macchina da presa. E’ stata davvero in grado di entrare nel personaggio.
Le riprese sono durate 8 settimane. Il montaggio 7 mesi. Perché così tanto?
Il montaggio è stato sofferto: dalle 2 ore e ½ della prima versione siamo passati a 1 ora e 40 minuti. Dovevo cercare di ridurre le scene all’essenziale per evitare il rischio della lentezza. Devo ringraziare Rainer Maria Trinkler, il mio montatore, che ha dimostrato una grande pazienza e un grande amore verso il film. Ora il ritmo è piuttosto serrato ma ci sono alcuni momenti di profondità e poesia in cui, volutamente, rallenta.
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