“Ho invidiato Rostagno tutto il tempo: il coraggio di scegliere la felicità, di amare incondizionatamente, di fregarsene del giudizio altrui, di non dovere dimostrare che chi lo aveva assediato aveva torto”. Così Roberto Saviano crea un parallelismo con il grande personaggio che ha raccontato nel nuovo documentario Sky Original in due parti, Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo. “Io non sono in grado di fare tutto questo, – continua il giornalista e scrittore – sto fermo, devo dimostrare che i miei vent’anni di sacrificio hanno avuto un senso. Ho invidiato questa meravigliosa libertà, la capacità di essere coerente con se stesso, cioè mutare. Gli invidio il coraggio dell’errore, di non considerarlo un fallimento”.
Prodotto da Sky e Palomar in associazione con Sky Studios, il documentario uscirà in esclusiva dal 26 febbraio alle 21.15 su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. Con soggetto e sceneggiatura di Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e la regia di Giovanni Troilo, Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo racconta di un uomo che da Trento a Trapani, passando per l’India, ha sempre avuto il coraggio di cambiare. Un solo uomo, mille vite, che sono state violentemente cancellate nel sangue del suo violento omicidio avvenuto nel 1988 e a cui sono seguiti 30 anni di indagini.
Il documentario ci pone di fronte al gioioso mistero di un uomo che prima di giungere nel luogo che segnerà la sua morte – quella Trapani dove prima fonderà una comunità di recupero per tossicodipendenti e poi diventerà la voce più autorevole e “antagonista” del giornalismo locale – aveva viaggiato e sperimentato: tra i vertici di Lotta Continua, membro dell’ashram di Osho a Pune e tanto altro ancora. “Immaginate cosa volesse dire condurre un telegiornale vestito sempre di bianco. – racconta Saviano, che oltre ad avere partecipato alla scrittura del documentario presta anche il suo volto e la sua voce come narratore dello stesso – In quel simbolo c’era una immediatezza. Nel suo approccio c’era una grande modernità. Cosa c’entra l’arancione con il marxista, con il terapeuta, con il giornalista del tg, con l’appassionato di musica che vuole costruire centri culturali? Tutto ciò è in continuità assoluta con la ricerca: incontrare l’altro, imparare. E dov’è che puoi incontrare un altro mondo possibile? Nella miseria, nelle difficoltà, negli incompresi. Liberando se stessi liberi anche gli altri e questo l’ho trovato meravigliosamente epico. La sua era una leziona socratica di colui che passeggia e incontra le persone, per questo non scriveva libri: per non perdere vita. C’è troppa vita per fermarsi a scrivere. Come diceva Pirandello, la vita o la si vive o la si scrive”.
“Ogni sua metamorfosi lo rende così autentico perché non va a svoltare la scelta precedente, somma vita a vita. – continua Saviano – Ha provato a creare uno spazio in cui soprattutto lui potesse sentirsi a suo agio e realizzato. Non c’è un’inclinazione da missionario che pone il senso della sua vita nel sacrificio. È sempre allegro o comunque cerca allegria. Non sta semplicemente sacrificando se stesso, anzi, per non rinunciare a se stesso si moltiplica nelle mille possibilità politiche, ideali, empiriche. Ho imparato l’infinita bellezza della trasformazione”.
“Questa storia contiene tante storie, tante vite. – aggiunge il regista Giovanni Troilo – Come raccontarla? Avremmo dovuto adottare il multiverso, ma abbiamo deciso di procedere in maniera molto semplice mettendo in fila tutte queste vite. Abbiamo provato a portare le testimonianze delle persone che lo hanno conosciuto e, anche se è stato faticoso, li abbiamo portati quasi tutti a Trapani, in una televisione locale erede di RTC, un luogo speciale. È stato come fare entrare il genius loci nelle riprese, rendendo più emozionante questo racconto.”
Ma tra le tante voci che raccontano questa storia, le più importanti sono forse quelle dei componenti della sua famiglia, la sorella Carla e, in particolare, la figlia Maddalena. “Penso che sia finalmente uno strumento per veicolare la sua figura a chi non lo ha conosciuto. – dichiara Maddalena Rostagno – Per me è fondamentale poter consegnare questo lavoro a mio figlio, in modo che gli racconti di quest’uomo che è sempre stato raccontato solo da me. Anche se non era il migliore, il più bravo di tutti, credo che valga la pena raccontare la sua vita, anche perché, in questo momento di disaffezione, può essere una figura che stimoli una presa di coscienza”.
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