Guillaume Senez firma una storia intima e stratificata, confermando la sua sensibilità nell’esplorare le relazioni umane nel loro punto di rottura. Ritrovarsi a Tokyo (Missing Part) è ambientato in una città quasi rarefatta, sospesa tra silenzio e pulsazioni metropolitane: il film segue Jay, un uomo francofono (Romain Duris), alla ricerca di Lily (Mei Cirne-Masuki), figlia perduta, in un viaggio che si rivela da subito meno investigativo che esistenziale.
La narrazione si costruisce per sottrazione: non c’è climax, non c’è redenzione, ma un progressivo scivolamento nell’opacità dei sentimenti. Senez sceglie un montaggio ellittico, evitando ogni spiegazione didascalica: l’indagine del protagonista diventa metafora di una paternità smarrita, e il titolo internazionale, Missing Part, suggerisce con lucidità chirurgica ciò che realmente è assente: non la figlia, ma il legame, la possibilità stessa di comunicare.
Jay vaga ogni giorno per le strade infinite di Tokyo a bordo del taxi, come se inseguire il respiro della città potesse condurlo fino a Lily: il suo matrimonio con una donna giapponese si è frantumato, e con esso ogni diritto di vederla la figlia; la Legge nipponica non prevede l’affido congiunto e la burocrazia giapponese è un muro armato per gli europei. L’unica speranza di lui è un incontro fortuito, un lampo del destino tra milioni di volti. Quando ormai anche l’illusione sembra dissolversi, e Jay si prepara a tornare in Europa, accade l’imprevisto.
La regia si muove con pudore e precisione: la macchina da presa predilige i piani fissi e i lunghi silenzi, lasciando che l’inquadratura assorba il disagio dei personaggi. Tokyo non è mai esotizzata, ma ritratta come spazio interiore, specchio di un’estraneità più profonda, e così anche l’uso del fuori campo diventa centrale: ciò che non viene mostrato – una telefonata mancata, una porta chiusa, una frase interrotta – pesa quanto ciò che è visibile.
L’interpretazione di Romain Duris è trattenuta, quasi scarnificata. L’attore lavora per sottrazione, facendo del corpo e dello sguardo strumenti primari di una comunicazione che avviene sempre a mezza voce. Accanto a lui, le presenze giapponesi non sono mai ridotte a accessori narrativi, ma partecipano all’architettura emotiva del film, rivelandone le tensioni sotterranee.
Alcuni critici francesi hanno sottolineato l’affinità poetica con l’opera di Kore’eda, per la capacità di evocare l’assenza attraverso gesti minimi e microfratture relazionali. Con questo film, Senez sembra approfondire ulteriormente un’estetica del disorientamento affettivo, che non cerca risposte ma resiste nella sospensione. Ritrovarsi a Tokyo è un racconto sull’impossibilità della ricomposizione, sull’irriducibilità della distanza emotiva, e sull’inquietudine che resta quando l’altro – pur ritrovato – ci appare definitivamente sconosciuto.
In un panorama cinematografico che spesso privilegia la riconciliazione e la chiarezza narrativa, Ritrovarsi a Tokyo s’impone come una sfida delicata allo spettatore: un invito a sostare nell’incompiutezza, ad abitare i vuoti, a riconoscere che proprio nella frattura si annidi una delle forme più autentiche dell’esperienza umana.
Il film esce dal 30 aprile al cinema con Teodora Film.
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Il documentario di Kip Andersen e Kameron Waters – con tono da inchiesta – investiga sul rapporto tra religioni e sfruttamento animale; il film ha ricevuto l’endorsement pubblico di Joaquin Phoenix, in quanto attivista. L’uscita al cinema 14-15-16 aprile
Intervista a Yaxi Liu e Enrico Borello. Al cinema dal 13 Marzo