Reinhold Messner, 70 anni dopo la grandiosa scalata, torna sulla prima ascensione del K2, compiuta nel 1954 da una spedizione italiana: dietro il successo dell’impresa c’è una storia di diffamazione e un grande sconfitto, Walter Bonatti.
Messner – tra archivio e ricostruzioni – racconta cosa sia realmente accaduto e come, infine, Bonatti sia stato definitivamente riabilitato nel 2008.
Messner, K2 – La grande controversia cerca di ristabilire una verità storica o di esplorare una verità più soggettiva?
Questo film parte da un’offerta del CAI, che mi ha dato la possibilità di usare immagini del ’54 per raccontare, a modo mio, la storia del K2. Questo successo, parlando di montagna, è stato il più grande successo italiano, anche se più tardi la lite ha un po’ distorto la Storia. La prima cosa a cui ho pensato io è stata la responsabilità: c’era una grande responsabilità da parte mia nel decidere di raccontare questa vicenda, rischiando forse di portare ancora una volta degli attriti, delle emozioni non positive; mi sono sempre detto che se avessi raccontato questa storia l’avrei raccontata con la consapevolezza che durante la spedizione non sia nata nessuna lite; era una spedizione tranquilla, guidata con grande forza da Desio, senza cui non si sarebbe arrivati in cima, insieme alla generosità di Bonatti, che si è offerto di portare le bombole di ossigeno.
Il rapporto tra cinema e montagna ha una tradizione spesso legata al mito dell’eroismo. Il suo film sembra invece voler decostruire questo immaginario. Rispetto a questo tema, quanto ha inciso la sua esperienza personale in alta quota?
Io sono nato in un periodo successivo, in cui non c’era più il senso di questa conquista, però ho vissuto un momento molto interessante quando ho fatto l’Everest senza la maschera: mi hanno fatto una grande festa nella mia vallata e ripetevano ‘Messner è salito senza ossigeno questa montagna’.
In questo senso, il suo film ha anche una valenza politica?
Il fatto di osare era percepito come un sentire nazionalistico: io, ringraziando, ho detto che non ho fatto l’Everest per il Südtirol, l’ho fatto per me; casomai, io sono la mia Patria, la mia Heimat, e il mio fazzoletto è la mia bandiera. Questo ha generato un’ondata di aggressività per mesi, così ho capito che la gente non capisca davvero cosa si faccia andando in montagna.
Quanto è stato difficile, sul piano emotivo, tornare su una storia così controversa? Il linguaggio cinematografico le ha offerto un nuovo modo di elaborare l’esperienza?
Dieci anni dopo il successo del ‘54, attraverso un giornalista – il cui nome non mi interessa – è nata la lite, perché quello ha raccontato una storia totalmente nuova del K2, e per venderla l’ha ricostruita, cambiata, finché alla fine erano migliaia i giornalisti interessati e ognuno tentava di avere la propria storia; ho capito, ma già molto prima dell’opportunità di fare il film, che gente esterna, senza una propria esperienza, tenda sempre – o quasi – a distorcere i fatti, per questo parlo di ‘colpa’ del giornalismo, che è stato certamente l’aspetto negativo della questione. Bisogna anche sapere che dieci anni dopo il K2 l’alpinismo era poi tutta un’altra cosa: la conquista aveva una dimensione quasi geografica, ‘l’Italia ha conquistato il K2’ in realtà è una frase non molto intelligente perché non si occupa una cima. Bonatti nel frattempo ha fatto tutto quello che era fattibile, era il numero uno del mondo: era molto difficile sopportare questa cosa e quel giornalista, con la storia del K2, non ha raccontato questa dimensione ma piuttosto che Bonatti forse volesse rubare la fama della cima. Io racconto la Storia, lo faccio come in una fiction ma con il tono del documentario.
Per la narrazione di K2 quali sono state le sue principali scelte stilistiche e narrative?
Non faccio film per cambiare il mondo, io racconto quello che so e in questo caso la mia meta da raggiungere era far capire che non si debba lasciar sfuggire la propria esperienza: si può condividerla con altri alpinisti ma chi non ha vissuto, almeno una volta, in quelle circostanze non dovrebbe maneggiare una storia che non è la propria e raccontarla.
Il film di Alexis Franco vince la Genziana d'oro del 73° Trento Film Festival. Adra di Emma Crome è il Miglior film d'alpinismo
L’intervista a Niccolò Maria Pagani, regista del doc Mauro Corona – La mia vita finché capita in anteprima al 73° TrentoFF e dal 5 maggio al cinema: voce narrante Giancarlo Giannini
El aroma del pasto recién cortado nella sezione Destinazione…Argentina, Paese ospite del Trento FF 2025: il merito principale del film, che vive sull’orlo della frattura, risiede nella sua ambiguità morale
Tra Natura e Quota – Giovanni Storti sopravvive alle Alpi Apuane di Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon: il doc in anteprima a Trento 2025. “La montagna ti dà anche l’imprevisto, che è un po’ il sale della vita, quindi… andate in montagna, nella Natura, non state col culo seduto”