Sono 21 i lungometraggi scelti quest’anno dalla Quinzaine des Réalisateurs, la sezione più “anarchica”, sperimentale e innovativa del Festival di Cannes, che come di consueto punta su un nutrito numero di opere prime. Tra queste la già annunciata Corpo celeste, firmata dalla “sorella d’arte” Alice Rohrwacher, che ha affiancato un cast di esordienti ad Anita Caprioli, Salvatore Cantalupo e Renato Carpentieri per raccontare le contraddizioni della Chiesa attraverso gli occhi di una bambina (Yle Vianello). Tema di attualità, in questi giorni in cui l’uscita del film di Nanni Moretti sul “gran rifiuto” del Pontefice ha alzato un polverone di più o meno vibranti proteste del mondo cattolico. Corpo celeste è una co-produzione tra Italia, Svizzera e Francia ed è distribuito da Cinecittà Luce.
“La scrittura di Corpo celeste è nata dall’incontro con Carlo Cresto-Dina, produttore del film, che inaspettatamente mi chiamò, mi disse che era appena nata Tempesta e mi chiese se avevo voglia di scrivere e mi propose un esercizio – spiega la 29enne autrice – Non voleva che io gli presentassi delle storie già esistenti o su cui avevo lavorato, ma dovevo approfondire un tema a scelta tra tre da lui proposti, un po’ come si faceva a scuola. Così mi inviò i temi, tre mondi che secondo lui andavano indagati, e come svolgimento io scelsi quello che forse meno mi riguardava ma più risvegliava la mia attenzione: la chiesa.
Spalancai subito gli occhi, come avrei fatto per un documentario: ero a Reggio Calabria in quel periodo, quindi iniziai da lì, desiderosa di entrare dalla finestra più piccola e vicina alla vita di tutti i giorni – continua Alice Rohrwacher – quella delle attività di parrocchia e del catechismo. Lezioni, riunioni, manuali come ‘Saranno Testimoni’ e ‘Katekismo 2000″‘, quiz e giochi di socializzazione attraverso chiese così grandi e vuote che parevano palazzetti in cui correre”.
Nella selezione voluta dal Delegato Generale Frédéric Boyer, come spesso accade, la Francia si presenta in forze, con voci nuove e autori consolidati: sono ben 12 i titoli transalpini (tra produzioni e co-produzioni) che compaiono nel cartellone della Quinzaine. Tra questi spicca la vecchia conoscenza del cinema d’autore francese e della Quinzaine stessa (è la sua quarta partecipazione) di André Téchiné, che porta alla Malmaison il film Impardonnables. La storia è quella di Francis, che arriva a Venezia per scrivere il suo nuovo romanzo senza distrazioni, ma l’agente immobiliare che si occupa di trovargli un appartamento lo distrae fin troppo: se ne innamora.
Tra gli altri francesi ci sono poi Jean-Jacques Jauffret con Après le Sud, gli esordienti bertrand Schefer e Valérie Mréjen con En Ville, Philippe Ramos con Jeanne Captive, Roland Edzard con La Fin du Silence e 7 co-produzioni, tra cui lo stesso Corpo celeste.
Un altro prezioso ritorno è quello del belga Bouli Lanners, che alla Quinzaine aveva già presentato Muno nel 2002 e il celebrato Eldorado nel 2008. Oggi ci riprova con Les Géants, storia di tre adolescenti che erano già preparati a passare “un’estate di merda” in campagna, ma che invece insieme inizieranno la “grande e pericolosa avventura della loro vita”. Anche il bulgaro Kamen Kalev è un habitué della sezione (nel 2009 era stato applaudito per Eastern Plays): stavolta porta sulla Croisette The Island, mentre non potrebbe esserci esordio più “curioso” nella sezione di Auraeus Solito, discendente di una stirpe reale Shaman della tribù di Palawan, ma uno dei primi nati all’esterno delle sue terre. Auraeus è uno dei più importanti cineasti indipendenti delle Filippine: il suo primo film – The Blossoming of Maximo Oliveros – si è portato a casa ben 15 riconoscimenti internazionali. A Cannes porta Buson, il primo film palawanese mai realizzato, il cui titolo, dal linguaggio indigeno, si traduce con “istant karma”.
Tra gli altri paesi rappresentati ci sono poi la Danimarca, alla Croisette con tre co-produzioni (Code Blue, Eldfjall e Play), un titolo che mette insieme Paesi Bassi, Irlanda e Ungheria (The Other Side of Sleep di Rebecca Daly), una unione di forze europeo-sudamericana (con Porfirio di Alejandro Landes, coprodotto da Colombia, Spagna, Uruguay, Argentina e Francia), un brasiliano (O abismo prateado di Karim Ainouz) e un solo statunitense: Return di Lisa Johnson.
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