Gli zombi nascono dalla tradizione haitiana e, come quasi tutti gli appassionati di horror sanno, all’inizio non sono tecnicamente “morti che camminano”, ma persone drogate costrette a uno stato di semi-vigilanza e schiavitù, come si racconta in White Zombie del 1932, diretto da Victor Halperin.
Comunque, li ha sempre contraddistinti l’estrema lentezza, anche quando George Romero, con La notte dei morti viventi (1968) ne rivoluzionò l’essenza, tramutandoli in cadaveri ambulanti e cannibali, simbolo di una classe proletaria che aveva tanta voglia di mangiarsi i padroni.
Non è tanto lo zombi singolo – caracollante e malconcio – a fare paura, ma l’aggressività di massa e il fattore sorpresa. Si può facilmente sfuggire al lento incedere di un morto vivente, ma quando si tratta di centinaia che ti si ammassano addosso (evidentemente riferimento a una rivolta collettiva) le cose cambiano.
Comunque, Romero aveva creato un’icona: il cadavere che avanza implacabile, simbolo di una società consumista, incubo di carne putrefatta che ti bracca senza fretta perché sa che, prima o poi, ti stancherai di scappare. Lo zombi era la morte che cammina, senza bisogno di correre.
Poi qualcosa è cambiato. E se oggi torniamo a parlarne è perché è arrivato in sala 28 anni dopo, il terzo, attesissimo capitolo di quella saga che nel 2002 ha rivoluzionato tutto: 28 giorni dopo. Danny Boyle e Alex Garland presero l’idea dello zombi, la spogliarono della magia voodoo e anche dell’idea della resurrezione, e la contaminarono piuttosto con la virologia postmoderna: i loro sono “infetti”, da un virus di rabbia che trasforma le persone in predatori scattanti, capaci di azzannarti a cento all’ora.
Parliamoci chiaro. Non si chiamano zombi, ma poco ci manca.
Da allora, i morti viventi hanno imparato a fare jogging, risultando, se possibile, ancora più terrificanti. Il remake del romeriano Dawn of the Dead firmato da Zack Snyder nel 2004 fa correre i morti come linebacker. Snyder sarebbe tornato poi sugli zombi nel 2021, con Army of the Dead. l film introduce due classi principali di infetti: i classici “shamblers” (lenti e zoppicanti) e i nuovi “Alpha” — veloci, intelligenti e organizzati. Questi Alpha si muovono con agilità, addirittura formando gerarchie (Re, Regina, guardie), e inquadrano la corsa come arma tattica.
C’era stato un precedente: Il ritorno dei morti viventi & sequel, di Dan O’Bannon, ma il tono ironico di questa saga (eccezion fatta per il terzo drammaticissimo capitolo, diretto però da Brian Yuzna) l’ha sempre relegata “al margine” del genere, come se la velocità fosse una sorta di gag.
World War Z (2013), con Brad Pitt, alza la posta: orde globali, fiumi di corpi che si arrampicano come insetti impazziti, un’immagine talmente rilevante che oggi la vediamo riprodotta da tantissimi giochini per cellulare la cui tagline recita quasi sempre “sopravvivi all’apocalisse zombi”.
In Corea del Sud, Train to Busan (2016) chiude i passeggeri in un treno a proiettile con infetti ipercinetici. Gli spagnoli di REC (2007) girano in found footage un incubo claustrofobico, dove gli infetti sono in realtà posseduti che si muovono a scatti come demoni acrobati.
Non mancano contaminazioni pulp e ironiche: Zombieland (2009) e il suo sequel (2019) mescolano sopravvivenza e slapstick: se gli zombi corrono, tu devi correre più veloce. Proprio per questo, la regola numero uno del protagonista è “Cardio” — bisogna essere in forma per scappare dai non-morti, perché loro non sono lenti.
E la corsa prosegue nelle serie TV: The Walking Dead, pur rimanendo fedele ai lenti per coerenza “romeriana”, ogni tanto alza i giri con zombi più rapidi. Kingdom, thriller coreano in costume, mostra un’epidemia medievale che non conosce rallentamenti.
Nei videogiochi, infine, la regola è correre sempre: Left 4 Dead è una maratona di fuggifuggi, Dying Light aggiunge il parkour agli infetti, Days Gone trasforma l’orda in un fiume in piena di corpi famelici. La saga di Resident Evil, sia al cinema che su console, ha creato un intero bestiario di non morti sprint e mutazioni da velocisti olimpici.
Se è vero che gli zombi, in stato di non-morte, tendono a ripetere compulsivamente quanto fatto in vita, e se è vero che la parabola del morto vivente è uno specchio grottesco della nostra società, non è difficile capire perché, negli anni in cui i ritmi delle nostre vite si sono fatti sempre più frenetici, oggi in ambito di cinema di zombi valga la regola del leone e della gazzella in Africa. Non importa che tu sia vivo o morto (o X): comincia a correre.
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