‘Quando dico che ti amo’. Tony Renis: “senza Enzo Jannacci non faccio il film” che “non è un Musicarello!”

Il ricordo degli esordi in Rai a Torino, nella Tv per Ragazzi, e oggi, che di anni ne vanta 86, l'artista è ospite del TFF per celebrare il film del ’67 diretto da Giorgio Bianchi, adesso restaurato dall'Augustus Color. Il momento più magico della carriera lo deve a Mina, “più di una sorella"


TORINO – Un “tycoon internazionale”, il padre di “creature internazionali”, così Giulio Base presenta Tony Renis, ospite del 42TFF anche per omaggiare il film Quando dico che ti amo di Giorgio Bianchi, suo ultimo da regista, anno 1967.

È gioviale, loquace, ha lo spirito del narratore, una memoria di ferro, e una vivacità d’animo magnetica Elio Cesari, per l’arte Tony Renis appunto, che ci tiene a “una premessa, riguardo al Musicarello, così ce la leviamo subito dal gozzo: il mio film Quando dico che ti amo non è un Musicarello, ma è un Film Musicale, perché il termine ‘Musicarello’ è dispregiativo, è offensivo, è un termine assolutamente ingiusto. Io non so chi sia stato il primo che abbia avuto questa malsana idea di chiamare questo genere musicale così, perché questi sono film musicali, come quelli che giravano in America con Elvis Presley, Frankie Avalon, Annette Funicello, Fabian, gli artisti famosi dell’epoca. Anche Frank Sinatra, sì penso che Sinatra agli inizi di carriera abbia fatto dei film musicali. Non è che gli americani chiamassero i film musicali ‘Musicarellos’, li chiamavano ‘film musicali’, appunto. Quindi, non chiamiamoli più Musicarelli, anche perché erano film di grandi successo“.

Sistemato questo assunto, per Tony Renis imprescindibile, il film di Giorgio Bianchi arriva a Torino vivendo di nuova linfa, infatti l’Augustus Color ha eseguito il restauro, che Renis ha personalmente seguito: “fanno dei miracoli, con il restauro: io ho la vecchia copia del film, smunta, mentre adesso ci sono dei colori incredibili, io non mi sono neanche riconosciuto, quasi. Infatti, vorrei restaurare altri miei film: ho 86 anni, 86! Lì stavo bene fisicamente, ero carino, anche bravo, e poi nel cast anche c’è un Enzo Jannacci meraviglioso, bravissimo: Jannacci l’ho imposto io. Mi ricordo che i produttori romani non lo volevano, perché dicevano: ‘ma no, ma quello lì è quello de …I scarp del tennis; allora io ho detto: ‘sentite un po’, o Enzo Jannacci c’è, o io non faccio il film‘, così sono stati costretti a prendere Enzo, che è straordinario. Poi c’è Lola Falana, una sventola: brava, bellissima; all’epoca è stata la fidanzata di Sammy Davis Jr., l’amico di Sinatra. Poi c’è la mia partner, bravissima, bellissima: Alida Chelli”, ricorda l’artista, che del cast non dimentica “un Lucio Dalla alle prime armi; una bravissima Caterina Caselli, e uno straordinario Jimmy Fontana: e voi lo chiamate ancora Musicarello? Ma questo è un Film Musicale bellissimo. E’ lo stesso che succede con i film di Sergio Leone, per esempio, gli western, più belli dei film western americani: ma perché li chiamano Spaghetti Western? Ma che c’entrano gli spaghetti? Gli spaghetti li mangi aglio, olio e peperoncino alle quattro di notte, come li faceva Dino De Laurentiis, che così ha conquistato Hollywood: i più grandi produttori, i più grandi registi, i più grandi attori andavano da De Laurentiis perché cucinava gli spaghetti”.

Renis, uomo avvezzo alla ribalta internazionale da una settantina d’anni, per essere ospite a Torino non nasconde di sentirsi “emozionato”, che non è solo un sentimento raccontato a parole ma palpabile nel lieve incrinarsi della voce, commossa. “E’ come quando mi hanno invitato la prima volta al Festival di Sanremo. Io ho sempre sognato, ho sempre sognato in grande, e infatti poi ho avuto l’onore di diventare anche amico di Frank Sinatra, che mi voleva molto bene e mi diceva ‘You must fly high, Tony’, e io, nel mio piccolo, da quando sono ragazzino, sogno sempre: si fa sempre in tempo a scendere, quindi sogno”.

E quello di Tony Renis è stato, infatti, anche un “sogno americano”: “ricordo che, quando sono partito per la prima volta per Hollywood, il mio sogno era Hollywood, da bambino sognavo Hollywood. Dicevo: ‘chissà se un giorno arriverò a Hollywood, anch’io?’. Così, appena ho ricevuto ‘4 Lire’ per il mio Quando, quando, quando sono volato a Los Angeles; ho investito i miei soldi prenotando il più bel bungalow del The Beverly Hills Hotel, che mi avevano detto fosse l’hotel più prestigioso, dove scendevano i più grandi registi, produttori, attori. E lì c’era la possibilità di poter cuccare qualcuno: avevo già fatto un paio di film in Italia, ma il mio sogno era Hollywood, fare un film a Hollywood. Mi ricordo che andavo ogni mattina in piscina, perché mi dicevano: ‘tu devi andare in piscina, lì li trovi tutti’, e c’è una una storia vera, che racconto sempre, ma è sempre bella; insomma, io andavo in piscina, era l’anno ’62 e il successo di Quando, quando, quando era pazzesco, era incredibile in tutto il mondo, particolarmente negli Stati Uniti, un successo planetario, ma nessuno sapeva chi fossi io. E allora, io ogni mattina scendevo, avevo la mia sdraio, avevo il mio ombrellone, c’erano delle cabanas bellissime, bianche, e io cercavo di ammiccare, per farmi conoscere, ma non mi filava nessuno, eppure la mia canzone era famosissima. Però, ogni 5-6 minuti sentivo dagli altoparlanti chiamare: ‘Mr. Gregory Peck on the telephone’, ‘Mr. Kirk Douglas on the telephone’, ‘Mr. Charlton Heston on the telephone’, insomma sentivo tutti questi nomi famosi, questa cosa la chiamavano ‘page’. La centralinista dell’hotel era quella che gestiva questa cosa, per cui mi viene un’idea: era appena uscito il mio album con la Capitol Records, e la Capitol era un sogno, allora prendo il disco, vado dalla centralinista e le dico ‘questo è il mio album, è Quando, quando, quando; questa, appena sentito il titolo, ha risposto ‘oh, Quando, quando, quando mi piace, è bellissimo’. E io le ho detto: ‘questo è per te’, regalandole il disco e facendole l’autografo. Però, prima di andarmene, le ho chiesto: ‘mi fai una cortesia? Ogni dieci minuti, mi fai un page?’. E allora questa ragazza, ogni dieci minuti, annunciava: ‘Mr. Tony Renis on the telephone’. Dopo due settimane ho conquistato Hollywood! Sognare fa bene, è importante”.

La carriera di Tony Renis si può tranquillamente definire stellare, e forse è anche riduttivo, con il suo ricordo degli esordi in Rai a Torino, nella Tv per Ragazzi, e poi sempre una parabola ascendente e luminosa s’è disegnata, a ritmo di musica soprattutto, ma anche di cinema, diretto – tra gli altri – da Alessandro Blasetti (La ragazza del bersagliere, 1967) a Sergio Sollima (Il Corsaro Nero, 1976). Ma, in assoluto, “il momento più magico, quello che mi ha dato una gioia assoluta, incredibile, è stato quando una ‘mia sorella…’, perché io considero di avere una famiglia molto allargata, virtuale, e parlo di Mina – davvero, una sorella per me, la mia più grande amica -, mi ha dato la possibilità di partecipare a Sanremo, cosa quasi impossibile. Ero sconosciuto, o almeno semi sconosciuto. Mi ricordo quella… sera, era un ultimo dell’anno, c’era Ezio Radaelli, uno famosi patron del Festival, un mastino, uno che non mollava, ed era venuto a sentire Mina; dopo la sua performance abbiamo fatto le quattro di notte, i camerieri spegnevano pian piano le luci, e Radaelli diceva ‘Mina, Mina, vieni’. E Mina rispondeva: ‘non vengo, non vengo Radaelli, non vengo’. Però, alla fine, dovevamo alzarci e andare via e lì Mina ha detto: ‘senti, Radaelli, io vengo via a una condizione sola: se tu porti anche il mio amico Tronis, sì perché lei mi chiama Tronis da sempre”, questo l’affettuoso soprannome, che porta Renis a ricordarne un altro, occasione anche di applaudire in cielo “un altro mio fratello, che mi manca: mi ha spezzato il cuore, ci ha lasciati poco fa, un genio del secolo, Quincy Jones, lui mi chiamava: Fico”.

 

 

 

 

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29 Novembre 2024

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