CANNES – Tra il 2006 e il 2008, a Göteborg, un gruppo di ragazzi tra i dodici e i quattordici anni ha traumatizzato decine di coetanei grazie a un’elaboratissima strategia psicologica con cui li teneva “sotto sequestro” per ore prima di sottrarre loro telefonini, vestiti e portafogli. Era la tattica del “fratello piccolo”: i teppistelli avvicinavano dei ragazzini, chiedevano loro di mostrare il telefonino e li accusavano di averlo rubato al fratello minore di uno di loro, da cui avrebbero dovuto portarli per un confronto. Un episodio di cronaca che ha già in sé tutti i crismi della drammaturgia, ha pensato il regista svedese Ruben Östlund, che ne ha fatto un bellissimo film passato alla Quinzaine des Réalisateurs: Play. Il titolo si riferisce al vero e proprio gioco di ruolo messo in atto dai piccoli criminali, che si distribuivano i ruoli di poliziotto buono e poliziotto cattivo, di aggressore e difensore, per brutalizzare – ma “solo” psicologicamente – i loro deboli coetanei. Ma anche a una messinscena degna della complessità della vicenda raccontata: piccoli attori straordinari e una regia raffinata fatta di inquadrature fisse e lunghi piani sequenza, che danno al film la verità e l’efficacia di un documentario. Insieme a uno sfondo sociale agghiacciante per indifferenza e ambiguità che contraddice l’immagine virtuosa che un po’ tutti hanno della Svezia e del suo modello di educazione civica. Il risultato è un’opera emotiva, che trasmette forte disagio di fronte al terrore paralizzante delle piccole vittime, e contemporanemente “estetica”, in cui forma e contenuto vanno felicemente a braccetto.
“I piccoli ladri – aveva dichiarato Östlund – ricorrevano a un uso molto elaborato e inventivo della retorica. Questa dimensione mi è immediatamente sembrata molto vicina all’idea stessa di dramma. Come nei miei due film precedenti, The Guitar Mongoloid e Involuntary, ho voluto con questa storia riflettere sul modo in cui il gruppo influenza il comportamento dell’individuo. Play mostra come il potere possa passare di mano molto rapidamente e propone una riflessione sul concetto di giustizia. Ho voluto invitare lo spettatore a valutare questi temi con distacco”. Play è anche una sorta di evoluzione e conferma delle invenzioni tecniche sperimentate con il cortometraggio Incident by a Bank, vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale 2010. Si trattava di un unico piano sequenza girato con la telecamera digitale Red 4K, che coinvolgeva 100 persone che seguivano una coreografia molto elaborata per raccontare una rapina in banca.
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