Una coppia multiculturale composta da Giorgio (Fabio Troiano) e dalla messicana Maria (Iazua Larios), prova a sbarcare il lunario nella periferia torinese, nonostante la crisi e le difficoltà. La notizia tanto desiderata di una gravidanza, però, spiazza la giovane donna, in quanto il marito è sicuro di essere completamente sterile. La paura di confessare questo evento apparentemente miracoloso costringe Maria al silenzio, portando tensione e malessere nella coppia, che solo il rapporto con due confidenti atipici (un prete e una sex worker transessuale) potrà salvare. È questa la semplice trama di Peripheric Love, opera prima del Luc Walpoth in uscita nelle sale dall’11 gennaio. Con il suo primo lungometraggio, il regista svizzero decide di entrare nelle maglie di una relazione con delicatezza e cura, mostrandone l’insita fragilità.
Luc Walpoth, da dove nasce l’idea e il desiderio di raccontare questa storia in cui “tenerezza” è una parola chiave?
Quando ho iniziato a scrivere Peripheric Love, una delle domande principali che mi sono posto è stata: perché le relazioni di coppia faticano a durare al giorno d’oggi? Da bambino, ho vissuto due divorzi, e anche da adulto,mi rendo conto di quanto sia difficile far funzionare una coppia. È un lavoro quotidiano in cui la comunicazione è fondamentale per mantenere l’equilibrio. Secondo me, i due parametri essenziali sono l’ascolto (una dote semplice ma che poche persone praticano attivamente) e la tenerezza. Infatti questi sono i concetti centrali del film. È da questi due pilastri che ho costruito la mia storia.
L’elemento della periferia è cruciale, tanto da essere incluso nel titolo. Perché la periferia torinese è l’ambientazione ideale per questa storia?
All’inizio, il titolo era essenzialmente una metafora delle storie d’amore parallele che sviluppano i nostri personaggi principali, ma si adatta perfettamente anche alla geografia della città di Torino. Torino si sviluppa per cerchi concentrici, dal centro storico con il suo passato regio, alle periferie industriali, passando per i quartieri popolari dove spesso vivono lavoratori immigrati, dal Sud Italia, dal Sud del Mediterraneo, dal Sud America o dall’Est Europa, il tutto osservato dall’alto dalle ville delle famiglie benestanti che spesso possiedono industrie nelle vicinanze. Questo ordine sociale e geografico mi affascinava quando vivevo a Torino, e ho costruito la mia storia pensando a questa geografia. A questo si aggiungono le chiese, e gli stabilimenti industriali, molto presenti nel centro di Torino.
È stato difficile trovare i due attori protagonisti? Cosa l’ha colpita di Iazua Larios e Fabio Troiano?
Per la scelta dei miei due protagonisti devo davvero ringraziare la mia direttrice del casting, Roberta Corrirossi. È stata lei a farmi conoscere il lavoro di Iazua Larios e a spingermi ad incontrarla. Sono andato a Città del Messico per conoscerla, ed è stato il suo lato naturale e istintivo a sedurmi subito. Ho incontrato Fabio Troiano a Roma, e abbiamo provato alcune scene. Dopo un’ora di sperimentazione, non volevamo fermarci perché ci piaceva così tanto lavorare insieme. È stato molto divertente e totalmente disinibito. È così che mi piace lavorare, senza tensioni, spingendo semplicemente il personaggio verso suoi limiti, è così che si possono trovare i dettagli, i difetti e i piccoli gesti che lo rendono umano e profondo. Poi, separatamente e insieme, con Fabio e Iazua, abbiamo riscritto molti dettagli dei personaggi. Fabio viene dalla comicità, il che lo rende estremamente preciso e accurato nei tempi e nel senso della distribuzione. È molto bello sul set avere un attore così preciso. Iazua è del tutto istintiva, vive il suo personaggio e si lascia trasportare dalle emozioni. I due attori avevano tecniche molto diverse, ma il mix funzionava molto bene, e credo che questo sia uno dei punti di forza del film.
In parallelo alla storia della coppia di protagonisti, vediamo la vicenda umana e sentimentale dei loro datori di lavoro, i Brandt. Perché questa coppia benestante ma in crisi (economica e sentimentale) rappresenta il perfetto contraltare di Maria e Giorgio?
Per me, le due coppie sono specchi. Su un piano molto diverso, entrambe hanno tutto per essere felici, ma a causa della mancanza di attenzione, comunicazione e delle frustrazioni della vita quotidiana, si allontanano l’una dall’altra. Maria e Giorgio hanno la fortuna di trovare confidenti che li ascoltano e li rassicurano. I Brandt, anche a causa della loro posizione sociale, non lo permettono e non riescono a riconnettersi tra loro. Per me era anche importante dimostrare che questo tipo di problemi di comunicazione all’interno delle coppie capitano a tutti, indipendentemente dal livello sociale o dalla cultura. È universale: è complicato far funzionare una coppia!
Altri personaggi fondamentali sono i due confidenti di Maria e Giorgio: un prete e una sex worker transessuale. Due persone sulla carta diversissime, ma che hanno la stessa funzione, come se ovunque si possa trovare qualcuno disposto ad ascoltarci. Da dove nascono questi personaggi?
Si tratta di personaggi che vengono impostati tematicamente fin dall’inizio della scrittura. Dato che l’ascolto e la tenerezza sono al centro della mia storia, ho cercato personaggi che rappresentassero questi due aspetti allo stato puro. Ma era soprattutto il fatto che nessuno dei due potesse avere figli ad affascinarmi. Il prete per ideologia, la transessuale per natura. Ma entrambi mantengono segretamente il sogno di avere un figlio, il che li rende ambigui ma anche umani. L’idea era partire dai luoghi comuni e renderli il più complessi possibile. Abbiamo lavorato molto con Alessio Lapice, affinché il personaggio del prete fosse affascinante ma credibile e quel dubbio fosse al centro del suo personaggio. Allo stesso modo, con Christina Rosamilia, l’idea era di presentare all’inizio del film un personaggio transessuale che rappresentasse lo stereotipo perfetto, il modo in cui i transessuali vengono troppo spesso rappresentati nel cinema, e poi, man mano che la narrazione procede, renderla più complessa e più fragile.
Quello che accade a Maria è un evidente parallelismo con l’immacolata concezione della Madonna. Dietro questo miracolo c’è una visione religiosa della vita o solo il fascino per ciò che è inspiegabile e inaspettato?
Questo non è un film religioso. Volevo raccontare soprattutto una storia d’amore, in un contesto di crisi sociale. Sono stati il contesto geografico e sociale e i personaggi a dettarmi la storia. Penso che il film sarebbe stato molto diverso se l’avessi girato in Svizzera o negli Stati Uniti. In Italia, la Chiesa è estremamente presente e influente anche per chi non è credente. Personalmente, non sono d’accordo con le dottrine religiose che escludono o limitano la libertà di essere chi vogliamo essere (sia sulla scelta del genere che sull’orientamento sessuale). Ma sono affascinato dai misteri della vita e, anzi, lo considero un miracolo. E penso che a volte smettere di correre, analizzare, razionalizzare e osservare tutti i piccoli miracoli che accadono intorno a noi, renda la vita più bella.
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