“Ho falsato tutto quello che ho conosciuto e vissuto, ho censurato alcune parti della mia vita”. Franco Battiato sa quello che vuole e sottolinea con forza il suo convincimento artistico: “Quando scrivo qualcosa non posso non inserire elementi metafisici”. Il neoregista, pur avendo realizzato un film, Perduto amor in uscita in sala il 6 maggio in 100 copie, composto da chiari elementi autobiografici, lo ha saputo modellare e trasfigurare fino a renderlo “un viaggio spirituale dove si delineano anche gli aspetti deteriori di personaggi che vivono una vita ordinaria ma fanno continui incontri con lo straordinario”.
Tema centrale del film è il passaggio dall’infanzia all’età adulta di Ettore (Corrado Fortuna): un giovane, “malato” di atarassia, cresciuto tra le gonne castigate di splendide donne catanesi e gli insegnamenti di un aristocratico pigmalione (Gabriele Ferzetti). Al suo fianco la madre, Mary, interpretata da Donatella Finocchiaro: “Tra me e Franco c’è stato un scambio di adorazione immediato. Per la prima volta ho avuto l’occasione di poter lavorare a casa mia, nella mia Catania e con il mio dialetto”.
Curiosa questa pellicola d’esordio popolata da figure che hanno dominato la scena musicale degli ultimi quarant’anni (Francesco De Gregori, Giovanni Lindo Ferretti, Maurizio Arceri, ex componente dei New Dada, Alberto Radius e Morgan dei Bluvertigo). E da tutto ciò che questo artista poliedrico ha studiato e digerito nel corso della sua esistenza: dalle origini siciliane all’esoterismo e le pratiche tantra, dalla filosofia di Manlio Sgalambro (cosceneggiatore ed interprete del film, ormai è un suo abituale collaboratore) alla religione, alla musica leggera italiana degli anni ’50 e ’60 fino a quella seria classica, comprensiva dei Lieder di Schumann come della ‘Passione secondo Matteo’ di Bach.
Ancora più curiosa la modalità con cui questo esordiente d’elite ha interpretato e manipolato a suo vantaggio il mestiere del regista: “L’altro giorno rivedevo La via Lattea di Luis Buñuel – ha raccontato Battiato – Nell’episodio della locanda i due protagonisti non sono mai inquadrati, si perdono tra la folla, cioè quell’altro che in quel momento il regista spagnolo intendeva descrivere”. Così Battiato, pur consapevole di non essere Buñuel, confessa una certa noia nel costruire la drammaturgia dei personaggi, e una preferenza per la “scansione narrativa non consequenziale”.
Con essa Franco Battiato scivola ad occhi aperti nel senso meraviglioso, o quantomeno personale, dell’esistenza, affrontando fra l’altro una riscrittura musicale (come fece già Goffredo Petrassi) del testo mistico di San Giovanni della Croce, “Noche serena”, quello stesso con cui il martire della Controriforma, nel buio del carcere di Toledo, cantò il più alto grado della perfezione, cioè l’unione dell’anima con Dio.
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