‘Paternal Leave’, Alissa Jung: “I miei personaggi? Imperfetti, come tutti noi”

Dopo l'anteprima nazionale al Bellaria Film Festival, il film con Luca Marinelli arriva in sala dal 15 maggio con Vision Distribution. L'intervista alla regista e alle interpreti Juli Grabenhenrich e Gaia Rinaldi


BELLARIA – Presentato in anteprima nazionale al Bellaria Film Festival, Paternal Leave, opera prima della regista tedesca Alissa Jung, è un intenso coming of age che esplora il complesso legame tra una figlia in cerca di risposte e un padre in fuga dalle proprie responsabilità. Con un cast d’eccezione, guidato dall’esordiente Juli Grabenhenrich e da Luca Marinelli, il film, ospitato nella sezione “Generation” della Berlinale 2025, arriva in sala dal 15 maggio con Vision Distribution. Un racconto di crescita e riconciliazione sullo sfondo malinconico della riviera romagnola fuori stagione. La regista e le interpreti Gaia Rinaldi e Juli Grabenhenrich ci raccontano il loro viaggio sul set, le sfide affrontate e l’autenticità di una storia che parla al cuore di tutti.

Alissa, quanto hanno influito nella scrittura di Paternal Leave le tue esperienze come figlia e come madre, e quale di questi due aspetti pensi abbia guidato maggiormente la realizzazione del film?

Alissa Jung: Sicuramente ci sono tutte e due questi miei aspetti dentro la sceneggiatura. Sono figlia, sono madre, quindi questi due lati ci sono sempre. Non è direttamente una mia esperienza ciò che racconto: sono cresciuta con mio padre, i miei figli sono cresciuti con un padre, quindi in superficie non è la mia storia. Però nel sottotesto ci sono tante esperienze mie, tanti sentimenti che ho rielaborato e inserito nel film. Realizzandolo ho capito molto di me stessa.

Juli e Gaia, anche per voi il film ha rappresentato un debutto. Come avete vissuto questa esperienza sul set e quali emozioni avete condiviso?

Gaia Rinaldi: È stato sorprendente, un vero viaggio. Ho sentito di potermi fidare ciecamente. Come prima esperienza, credo di essere stata molto fortunata. Sentivo Alissa sempre presente, in modo delicato. Si è fidata di me, e questo è stato il regalo più grande. Lavorare con una donna, con una protagonista femminile, è stato significativo, anche simbolicamente, per fare questo primo passo.

Juli Grabenhenrich: Ero un po’ spaventata prima di iniziare, soprattutto quando ho realizzato che avrei avuto quel ruolo. C’era molta pressione, sì. Però ricordo un messaggio vocale di Alissa, in cui mi diceva: “Forse è un bene che tu non abbia esperienza, perché a volte è meglio non essere troppo consapevoli di sé, essere come un foglio bianco”.

Il film parla anche della difficoltà di comunicare i nostri sentimenti, siano essi positivi o negativi. Questo arriva anche grazie al mix di lingue che ritroviamo nel racconto, a cui si aggiunge però anche un insieme di strumenti che lo articolano e complicano. Ad esempio il ruolo dei messaggi vocali, delle chiamate. Come hai lavorato su questo tema e quanto è complicato oggi comunicare in maniera efficiente nei rapporti personali?

Alissa Jung: Mi interessava che il padre fosse di un altro paese rispetto alla figlia, e quindi che i due non potessero comunicare attraverso una lingua comune. Devono perciò usare una lingua che non è la loro, e in questo modo anche il corpo, gli sguardi, i gesti assumono un altro valore. Siamo abituati a comunicare con le parole e a volte ci nascondiamo dietro di esse. Ma se stiamo in silenzio, in una stanza, stiamo comunicando tantissimo, forse anche di più. Oggi, il telefono aggiunge altre dinamiche: vuoi mandare un messaggio vocale, poi ti commuovi, cancelli, scrivi altro, perché vuoi nascondere le emozioni. Con il telefono ti puoi nascondere meglio, per non rivelarci davvero. La comunicazione sul set poi era divertente, si parlava italiano, tedesco, inglese, a volte non ci capivamo, ma funzionava.

Alla fine del film, i personaggi hanno imparato qualcosa di loro stessi, ma non cambiano del tutto. Restano così, incompleti. A volte ci stanno simpatici, altre invece si rivelano arroganti. E anche lì ci rispecchiamo. Come hai costruito questa autenticità? È questo tipo di scrittura che ti interessa portare nel tuo cinema?

Alissa Jung: Il mio obiettivo è sempre mostrare l’essere umano per come è: non perfetto, non buono, non cattivo, ma vero. Facciamo tutti errori, cose sbagliate, ma non per questo vogliamo davvero fare male agli altri. Esplorare la psicologia dei personaggi e portarla sullo schermo mi interessa molto. Ho lavorato tanto sulla sceneggiatura per arrivare a questo. Con gli attori, abbiamo avuto 3-4 settimane di prove fondamentali. Abbiamo fatto tanti esercizi per capire da dove vengono, come stanno insieme in una stanza, come comunicano. Abbiamo lavorato sulla rabbia, soprattutto quella femminile, che la società ancora non accetta, anzi la guarda con sospetto e giudizio. Era importante anche per i personaggi secondari, come il personaggio di Valeria, avere un background ricco. Anche una frase banale, come quando chiede a Paolo cosa sia successo al tetto di casa, rivela tutto il suo rapporto con quell’uomo. Questo crea la loro realtà.

Com’è stato lavorare con Luca Marinelli?

Alissa Jung: È stato molto bello. Essendo una coppia, a volte può essere complicato, magari si può peccare d‘eleganza, ma può anche portare a un’intimità che poi si rivela utile per lo sviluppo del film. Tra attori e troupe abbiamo creato un gruppo, una famiglia. Luca è un grandissimo attore, e abbiamo uno sguardo simile sulla recitazione, sul cinema, su come affrontare una storia. Come regista, dialogare con lui è stato molto facile.

Un altro aspetto centrale nel racconto sono le location. La riviera romagnola fuori stagione sembra un mondo sospeso nella nebbia e in parte rivela un aspetto fondamentale dei personaggi. Come hai scelto questi luoghi e quale è stata la vostra esperienza sul set? 

Alissa Jung: Ho scelto la location ancora prima di pensare alla storia. Ero a Marina Romea con mia figlia, in autunno. Tutto era chiuso e c’erano queste gigantesche dune lungo il mare. Lì ho visto il personaggio di Paolo, il padre: qui si ripara, si chiude, costruisce una duna intorno alla sua anima e non vuole far entrare nessuno. Il mare arriva con violenza, come la figlia, che è bella ma forte. La storia è nata lì. Sono tornata in varie stagioni per capire chi erano questi personaggi, che vivono in due mondi opposti, come l’estate e inverno. Questo mi ha affascinato tantissimo. Quando ho mostrato questi luoghi alla nostra direttrice della fotografia, Carolina Steinbrecher, mi ha detto: “Hai già fatto tutto il lavoro! È esattamente come lo immaginavo. Che devo fare? Giriamo!”.

Gaia Rinaldi: Non conoscevo Marina Romea, ma mi ha ricordato Il deserto rosso di Antonioni. La nebbia, i mostri d’acciaio delle industrie, i fenicotteri, la laguna: un mondo onirico, quasi post apocalittico. I fumi delle fabbriche si uniscono alla nebbia e tutto diventa confuso. Cercavo di intonarmi a questi ambienti, ascoltandoli, nei silenzi.

Alissa, dopo questo debutto, a cosa stai lavorando ora?

Alissa Jung: Ho scritto una sceneggiatura con un amico, stiamo cercando finanziamenti, ma non è facile per il cinema d’autore. Ho ricevuto però fondi per scrivere un film per bambini in cui provo a raccontare la morte.

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10 Maggio 2025

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