“Quando entri nell’albergo, soprattutto nella spa, c’è questa strana sensazione di camminare in un luogo abbandonato da migliaia di anni, quando in realtà è appena successo”. Dopo avere raccontato la storia di Rigopiano e avere dato voce ai suoi testimoni in un podcast ascoltato da milioni di persone, Pablo Trincia può finalmente mostrarci il luogo di una delle tragedie che più ha scosso l’opinione pubblica negli ultimi anni. Il 20, 21 e 22 novembre arriva su Sky e Now la docuserie Sky Original E poi il silenzio. Il disastro di Rigopiano – La serie, per la regia di Paolo Negro.
Era il 18 gennaio 2017, quando una valanga spazzò via l’Hotel Rigopiano, tra le montagne dell’Abruzzo, causando la morte di ben 29 persone, tra ospiti e dipendenti. Una storia che iniziò molte ore prima del tragico evento, con un’emergenza climatica mal gestita dall’amministrazione locale che impedì a tutte le vittime di abbandonare il lussuoso resort, nonostante la minaccia di un terremoto. Una tragedia che al suo interno ne contiene tante altre: in primis quella di Roberto Del Rosso, che rischiò tutto e abbandonò la propria professione di stimato designer per dare vita all’hotel dalle macerie del fallimento della precedente gestione familiare, e poi quelle, sfaccettate e uniche, delle 40 famiglie coinvolte direttamente da una tragedia che si sarebbe potuta evitare.
Trincia, con la sua consueta empatia, pacatezza, riflessività e con quella voce ormai così familiare a tanti di noi, riprende il suo ruolo di narratore e intervistatore, accompagnandoci in un viaggio di dolore inimmaginabile. “Puntavamo molto sul fatto di raccontare questa storia soprattutto dal punto di vista umano. Questa è una storia di famiglie e di legami spezzati. Ci siamo subito resi conto che dentro quell’hotel ci potevamo essere noi ed era qualcosa che abbiamo sempre tenuto a mente. Questa è una storia di esseri umani. La storia del sogno di una persona, Roberto Del Rosso, e la storia di queste coppie, famiglie che sono andate lì per svagarsi. Una storia di persone, che dovevano avere voce, dovevano parlare, e il loro dramma doveva arrivare a tutti gli ascoltatori, prima con il podcast e poi con questa docuserie di Paolo Negro. Un lavoro d’impatto, molto onesto, dove finalmente si può vedere quello che abbiamo raccontato”.
All’approccio narrativo di Trincia, che in tanti apprezzano da anni con i suoi podcast di successo, si aggiunge la professionalità del regista Paolo Negro, chiamato a un’impresa tutt’altro che scontata. “Cambia completamente il tipo di narrazione rispetto al podcast perché ti permette di vedere la situazione reale. – afferma il regista – Abbiamo proceduto in parallelo tra podcast e docuserie, le scelte che abbiamo fatto sono state dettate dal materiale a nostra disposizione. Il podcast aveva la libertà di passare avanti e indietro nella timeline più facilmente. Ciò che ha guidato le nostre scelte nella docuserie sono le interviste. I momenti più pregnanti sono quelli in cui c’è un silenzio, uno sguardo, dove c’è qualcosa di invisibile per il podcast. Perché nella docuserie quel silenzio e quello sguardo ti costruiscono tutta la scena e intorno a quello devi lavorare”.
Tra le scelte registiche più efficaci, c’è la scelta di proiettare i video e le immagini realizzate dalle vittime poche ore prima della tragedia all’interno di quello che resta dell’Hotel Rigopiano. Selfie di persone che agli occhi del regista sono come “fantasmi che chiedevano giustizia, per cui proiettare quelle immagini in quei luoghi, gli ultimi che hanno abitato, era un atto dovuto nei loro confronti”. C’è poi la scelta di usare frequentemente l’intelligenza artificiale come elemento grafico di raccordo, mostrandoci immagini disturbanti che si autogenerano continuamente, come in un incubo ad occhi aperti: “Ci siamo resi conto che questa valanga è intangibile e abbiamo dovuto utilizzare uno strumento in maniera sperimentale. L’intelligenza artificiale, allo stato attuale, aggiunge un elemento stocastico, casuale e visionario che ci ha permesso di rendere quel racconto che era fortemente contaminato dal trauma come qualcosa che era più nell’immagine onirica, un sogno”.
Per ricordarci che questa non è tanto la storia dell’uomo contro la natura, ma dell’uomo contro se stesso, nel corso dei suoi cinque episodi, avrà grande spazio anche la parte giudiziaria che fatto seguito la tragedia. La ricerca di un colpevole nell’amministrazione locale che, come hanno confermato i familiari delle vittime, probabilmente non arriverà mai a compimento. A compiere un gesto di rispetto e di giustizia nei confronti di chi non c’è più, invece, rimane solo l’artista, il narratore, che con la sua sensibilità si presta a un racconto tanto avvincente quanto drammaticamente intenso. C’è, infine, una proposta che merita di essere ascoltata: “A me dispiace vedere quel luogo chiuso, credo che andrebbe conservato e che dovrebbe essere visitabile, così come è. – conclude Pablo Trincia – Non per fare turismo dell’orrore: io immagino una scolaresca, che lo visiti, che lo guardi, che ascolti le testimonianze. Credo che debba diventare non un museo, ma un memoriale. Credo che debba essere tenuto bene, con le foto di chi non c’è più, perché sennò ce ne dimenticheremo”.
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