Nuri Bilge Ceylan, giallo in Anatolia


CANNES – Tocca a due film corali (La source des femmes e Once upon a time in Anatolia) chiudere il concorso di Cannes, una competizione quest’anno di livello notevolissimo, con almeno due o tre seri candidati alla Palma d’oro. Tra questi, personalmente metteremmo anche il sesto lungometraggio del turco Nuri Bilge Ceylan, regista in qualche modo da festival, raffinato e di difficile fruizione, ma che lascia il segno. Autore di titoli come Uzak e I climi, ha vinto il premio per la regia qui a Cannes con Le tre scimmie nel 2008.

 

Stavolta con Once upon a time in Anatolia ha composto un giallo dalle atmosfere misteriose e sospese, che a tratti ricordano Georges Simenon, dove il colpevole è noto fin dall’inizio dell’indagine. I fari di tre auto fendono la notte sull’immenso altipiano dell’Anatolia: insieme all’assassino reo confesso e a suo fratello, i poliziotti, con procuratore e medico legale al seguito, stanno andando a cercare il cadavere della vittima. Tra parentesi ironiche (il corpo che non entra nel bagagliaio della macchina, l’incontro con il sindaco di un villaggio che li ospita nel cuore della notte) e momenti sognanti, il film approfondisce via via l’umanità dei singoli personaggi e in particolare quella del magistrato e del dottore, che hanno entrambi perso la moglie in circostanze forse drammatiche. Un film sulla solitudine e il desiderio, il rimpianto e la tenerezza, scritto (insieme a Kesal Ercan e alla moglie attrice, fotografa e regista Ebru Ceylan) e fotografato (Ceylan stesso è un noto fotografo prima che regista) in modo davvero straordinario. In quasi tre ore di durata, che non pesano una volta entrati nella vicenda, si procede insieme ai personaggi attraverso un percorso di piccoli svelamenti fino a comporre un ritratto di umanità fuori dal tempo e dai luoghi consueti (ma siamo nel presente e faranno la loro comparsa anche computer e telefoni) che ricorda i grandi romanzi russi dell’Ottocento. Dice il regista: “La vita in una piccola città è simile a un viaggio nel bel mezzo della steppa: la sensazione che qualcosa di nuovo e diverso stia per nascere dietro ogni collina, ma sempre, infallibilmente, percorrendo strade monotone che si snodano, spariscono e riappaiono”. Nuri Bilge Ceylan annovera Robert Bresson tra i suoi maestri.

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21 Maggio 2011

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