Noir esistenziale per Paolo Franchi


Presente in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, insieme ai film di Vincenzo Marra e Andrea Porporati, Nessuna qualità agli eroi non cerca certo di solleticare i gusti del pubblico. Rigoroso, raggelante, immerso in una luce livida, tutto giocato in sottrazione nella scrittura del dialogo ma forte e disturbante nelle immagini. Non tanto le scene di sesso (si è molto parlato dell’erezione di Elio Germano, un tema su cui il regista ha chiesto di non porre domande) quanto nell’angoscia fisica, palpabile che i due protagonisti trasmettono. Dimagrito di parecchi chili, Elio Germano è Luca un ragazzo insofferente a qualsiasi autorità, che soffre di violenti attacchi di panico e arriva ad architettare e consumare l’omicidio di suo padre, scaltro direttore di banca che pratica l’usura sottobanco. Bruno Todeschini è invece un quarantenne alla deriva, coperto di debiti e ormai rassegnato a non poter avere figli con la moglie Anne, che pure ama moltissimo ma con cui si esprime a monosillabi. Su di lui pesa una figura paterna altrettanto ingombrante, perché il padre era un pittore di straordinario successo, ancora idolatrato dalla sorella (Maria De Medeiros) e dalla madre, benché incapace di dedicarsi a chiunque non fosse la sua arte.

 

Per Paolo Franchi, laureato in lettere e critico d’arte prima che cineasta, il film è un’opera simbolica, da leggere decisamente in chiave psicoanalitica, fuori da ogni richiamo al realismo. Addirittura un confronto tra la coscienza e l’inconscio. “Con La spettatrice parlavo di una depressione al femminile, questa volta affronto l’universo maschile in un noir esistenziale che narra il passaggio dalla depressione alla psicosi vera e propria”. La struttura circolare rimanderebbe dunque a una sorta di delirio, ma sono possibili (anzi auspicabili) anche altre letture, mentre il titolo non vuole essere un riferimento a “L’uomo senza qualità” di Musil ma piuttosto sottolineare che un eroe non deve compiere gesta straordinarie ma semplicemente fare qualcosa di inconsueto. Come l’assassinio del padre, un tema del cinema di Marco Bellocchio che Franchi recupera “come una necessità, a livello simbolico, per raggiungere la sanità mentale”. Quanto alle molte scene di sesso, “non le trovo assolutamente gratuite a meno di essere sessuofobi – dice ancora il regista – ci sono significati profondi che vanno dalla ricerca dell’origine alla ribellione politica di fronte all’arte come autorità”. Toccato dall’esperienza, Elio Germano che si è trovato a lavorare con un autore dal linguaggio completamente diverso e con attori, come i francofoni Bruno Todeschini e Irène Jacob, dallo stile differente. “Non ho cercato di imitare nessuno, non ho usato riferimenti al cinema sulla psicosi per calarmi nel mondo interiore di questo personaggio”, racconta l’attore, che domani riceverà dal SNGCI il Premio Biraghi come rivelazione dell’anno. Prodotto da Beppe Caschetto, in collaborazione con Donatella Botti e con la RTSI e con il sostegno del MiBAC, il film sarà distribuito dalla BIM nelle sale e dalla Rai in home video.

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26 Marzo 2007

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