Piccolissimi puntini ardenti, vibranti e sfuggenti lamelle di fuoco illuminano uno spaccato del buio serale, quello del 13 dicembre, ricorrenza della celebrazione di Santa Lucia, a Crotone, rione Fondo Gesù: una tradizione arcaica, sempre attuale, per cui si costruiscono maestose piramidi di legno da far ardere nel nome di questa Santa, la cui leggenda narra fosse cieca. Un rito antico che, per gli adolescenti contemporanei di quel luogo, derubati dalle cose della vita che apparterrebbero loro per diritto d’anagrafe, costretti a essere spesso “padri” e affatto figli, diventa un momento di fratellanza.
Lux Santa, questo il titolo del film di Matteo Russo (classe 1992), scritto con Carlo Gallo e in anteprima al 41TFF, racconta una luce non solo viva ed effettiva, ma certamente simbolica, un auspicio per i protagonisti – Lupin Zucchero (Francesco Vaccaro), Zucchero (Francesco Scarriglia), Pidux (Enrico Serra), Citos (Antonio Citati) -, che possano essere illuminati nel loro attuale buio. Il titolo scelto è particolare per il connubio tra qualcosa di profondamente spirituale e, altrettanto, l’uso di una lingua antica, che rimanda al concetto arcaico del film, questione che Russo spiega raccontando come “inizialmente si chiamava semplicemente Santa Lucia, perché i Fuochi nascono come culto pagano per restituire a lei la luce nel suo giorno, per cui nell’antichità questo si faceva più per un valore spirituale, dunque volevo cercare di restituire con il titolo questa spiritualità che i ragazzi un po’ hanno perso, motivo per cui abbiamo giocato molto sul valore della luce nelle vite dei protagonisti. Crotone, poi, fondamentalmente è culla della Magna Grecia, per cui ha un passato che restituisce anche questa tradizione”.
Se nelle prime sequenze i protagonisti potrebbero sembrare un po’ dei perdigiorno di periferia, tra il mito dei tatuaggi e un bivaccare serale fatto di birra e sigarette, presto si comprende invece lo scopo, che è vivo in ciascuno, con il senso dell’impegno, della dedizione, e una palpabile voglia di riscatto: raccolgono materiale edile, legno principalmente, da cantieri e case abbandonate, dove capiti, lo trasportano spingendolo su carrelli del supermercato e, pezzo per pezzo, costruiscono e issano la croce, il totem dei Fuochi di Santa Lucia. Russo, a proposito di “fuochi”, quello che certamente accende è sull’adolescenza, non un’età qualsiasi per l’evoluzione dell’individuo, ed è lui stesso a raccontarci che ci sia “un minimo di autobiografico nel film: da piccolo realizzavo i Fuochi di Santa Lucia nella mia città, per cui mi son detto: ‘perché non raccontare anche un pezzettino della mia adolescenza?’ Quell’adolescenza che in una piccola cittadina del Sud Italia, a 16-17 anni, incomincia a fare i conti sul futuro, sul restare o partire: questa adolescenza pian piano si sgretola, cominci a perdere i primi amici, ad avere un senso di consapevolezza, motivo per cui il focus non poteva che essere sugli adolescenti”.
E qui l’interrogativo sorge spontaneo, perché l’essenza del concetto di Neorealismo spinge, emerge, o almeno questo passa nella visione: “le vite dei protagonisti sono le loro vite, loro sono loro, i nomi e i cognomi sono i loro, la realtà mi ha restituito questo. C’è stato un lavoro di ricerca per trovare storie restituite dalla realtà. Durante la fase di shooting non avevo una sceneggiatura scritta, abbiamo cominciato le riprese con un canovaccio con le tematiche chiave, quindi quello fatto da noi è stato portare i protagonisti in certi luoghi, e lì raccontare specifiche tematiche, come i padri, i processi, i litigi; con loro parlavamo di tematiche e non di battute da recitare; con Carlo Gallo, con cui l’ho scritto e con me sul set, non abbiamo mai ‘messo in bocca’ ai ragazzi delle battute, erano loro a dire quello che si sentivano, e soprattutto quello che ritenevano più opportuno rispetto alle tematiche proposte: per esempio, non era scontato che un padre, detenuto, e sotto processo, si mettesse così a nudo, dicendo ‘ho sbagliato, non è vita’. Non abbiamo mai fatto un intervento sui dialoghi”.
Questo modus operandi autorale s’intreccia infatti con sequenze più intime, di discorsi a quattr’occhi e meno collettivi tra alcuni di loro, parole prettamente dedicate alla paternità appunto: sono quindicenni senza padri, figli di padri assenti, perché già non più in vita o – nella migliore delle ipotesi – chiusi in carcere, dove almeno… “lo puoi vedere tuo padre”, ma magari dopo due anni, quando viene trasferito in una casa circondariale più prossima a Crotone, mentre nel frattempo, tu – poco più che bambino – sei chiamato, costretto, a essere papà di quel tuo fratellino che il papà biologico nemmeno ha visto venire al mondo. Il luogo, certo, è tutt’altro che uno sfondo, e Russo commenta che “Crotone ha vissuto un periodo di buio totale, con un’amministrazione comunale commissariata, ma anche un passato – quello degli Anni ’60 – florido: Fondo Gesù nasce alle spalle di quello che era uno dei poli industriali più grandi d’Italia, quello di Pertusola e Montedison, in cui i nonni di questi ragazzi hanno lavorato, anche ammalandosi; attualmente, da circa dieci anni, sono in fase di bonifica. Crotone – come forse gran parte del Sud Italia – è un luogo in cui l’adolescenza ti mette davanti a delle scelte, decidi se partire, se andare via; è un contesto difficile, anche se da cinque anni a questa parte le cose stanno cambiando tanto in città, possono essere anche interessanti e belle, ne stanno nascendo; sicuramente Fondo Gesù è uno dei quartieri più ostili della città, perché la cronaca lì è solo nera, ma ci siamo resi conto essere uno di quei rioni in cui la tradizione e i valori famigliari ancora resistono, e sicuramente no, non è un quartiere ostile ma che accoglie”.
Il racconto filmico “se fosse un brano musicale” sarebbe Non siamo nati re, e in effetti è proprio Non siamo nati re di Gifle, che efficacemente sintetizza in note e strofe l’essenza del racconto cinematografico, con l’intera cura musicale firmata da Ginevra Nervi, per cui Russo spiega che “la presa diretta del film era molto neorealista e a tratti abbastanza confusionaria, spesso con molti più protagonisti dei quattro principali, insieme a martelli che battevano sul legno, insomma qualcosa di duro. Lei è una compositrice prettamente di musica elettronica e proprio per questo ho deciso di collaborare con Ginevra, per restituire la contrapposizione tra i suoni di questa presa diretta e quelli più specificatamente elettronici”.
Lux Santa, prodotto da Naffintusi, in collaborazione con Rai Cinema, con il supporto della Calabria Film Commission, esce al cinema dal 22 gennaio.
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