CANNES – Non è certo tale il capolavoro annunciato del Festival (anzi si è preso pure qualche fischio), ma il successo è comunque assicurato. Un film atteso da due anni e conteso tra Cannes e Venezia, un regista misantropo che non si fa neanche fotografare, una trama ridotta a tre righe: ed ecco che la gente fa a botte fin dalla prima mattina per andare a vedere The Tree of Life. Anche se il film di Terrence Malick dal 18 maggio sarà comodamente in cento sale italiane con 01 Distribution. Le leggende, si sa, si alimentano da sole. Tormento ed estasi, un montaggio a cui hanno lavorato addirittura cinque tecnici separatamente, aiuto registi spediti in giro per il mondo a filmare vulcani e ghiacciai, versioni mai definitive. Qualche dettaglio ce lo racconta Brad Pitt, protagonista e coproduttore, per una volta meno divo di un regista che non si sogna di concedere interviste. Sarà il film a parlare per lui, come dice la fedele produttrice Sarah Green. E del resto The Tree of Life è un film molto personale, forse troppo, per vincere la ritrosia del suo autore, che ha davvero perso un fratello morto suicida. Ma il lato autobiografico della vicenda si tinge di tragica universalità, come un’interrogazione posta a Dio in persona, sulla scorta del libro di Giobbe e delle tribolazioni del giusto. È un Dio lontano, forse crudele, che lascia morire chi capita. Ma è anche un Dio architetto dell’universo, capace di una creazione che lascia senza fiato. Così microcosmo e macrocosmo si incrociano in una visione che a volte, con rispetto parlando, fa un po’ pensare a Quark, mentre un’incessante voce fuori campo si alterna ai silenzi e alla musica sacra da Bach in giù.
Per costruire le immagini del Big Bang, Malick ha consultato astronomi, fisici e biologi e per la prima volta ha utilizzato gli effetti visivi. Vulcani che eruttano lava, foreste pluviali, oceani profondi, territori selvaggi, distese di ghiaccio e gigantesche cascate e persino animali preistorici che si combattono per la supremazia. Co-autore di queste visioni è Douglas Trumbull, pioniere degli effetti speciali che per Stanley Kubrick realizzò quelle di 2001: Odissea nello spazio e per Steven Spielberg Incontri ravvicinati del terzo tipo. Ad Austin, nel Texas, Trumbull e Malick hanno creato un laboratorio segreto, dove hanno sperimentato con sostanze chimiche, pitture e tinte fluorescenti, mescolando fluidi e luci ad alta velocità. “Magari versavamo del latte in un imbuto stretto e lo riprendevamo con lenti particolari illuminandolo e ingigantendolo per farlo sembrare cosmico”, ha spiegato Trumbull. Mentre i dinosauri si avvalgono della consulenza di un paleontologo e sono meno giganteschi e spettacolari di quelli di Jurassic Park ma probabilmente più simili al vero.
Dalle scienze alla teologia. Spiega Brad Pitt che sul set ci sono stati veri e propri dibattiti religiosi e aggiunge di aver avuto un’educazione cristiana, poi messa in discussione. “Anch’io, durante l’infanzia, sono rimasto deluso da Dio, che improvvisamente sembrava non essere in grado di risolvere tutto per il meglio. E’ un tema che tocca noi tutti. Ma il film parla anche dell’impermanenza della vita e critica il sogno americano col suo ideale dell’autoaffermazione a tutti i costi”.
Il cuore del film, infatti, è una storia anni ’50, quella della famiglia O’Brien che vive nel quieto Midwest fatto di villette ordinate. Il padre (Brad Pitt), un ex militare rigoroso, cristiano praticante, musicista frustrato, pretende dai tre figli maschi obbedienza e rispetto assoluti, la madre (Jessica Chastain) è l’incarnazione stessa dell’amore, sempre disposta alla gioia e al perdono. La natura e la grazia, opposti che confluiscono nell’educazione dei tre ragazzi normalmente ribelli. Ma il maggiore, Jack (Sean Penn) che oggi vive a New York, non trova pace dopo la morte del fratello minore, il più artista dei tre, quello che si è suicidato. Mentre del secondo non è dato sapere.
Comunque sia il suo film (vedrete che dividerà la critica), Malick resta un regista leggendario, nonostante abbia girato solo cinque film a quasi settant’anni d’età (è nato nel’43). Non concede interviste dal ’73 (ma ha accettato di incontrare il pubblico al Festival di Roma parlando del cinema italiano), non vuole essere fotografato e nel suo studio non è permesso entrare nemmeno a sua moglie. Maniacale come Kubrick e appartato come Salinger, prima che regista e produttore è stato operaio nei pozzi petroliferi, professore di filosofia al MIT, traduttore di Heidegger, giornalista e ornitologo. Il suo sesto film, Untitled Love Story, è già in lavorazione e avrà come interpreti Javier Bardem, Ben Affleck e Rachel McAdams.
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