MIMMO MONGELLI


“Il matriarcato del mondo contadino ha prodotto effetti devastanti, molti dei quali rintracciabili ancora oggi: si pensi al fenomeno degli eterni figli, coloro che rimangono in casa fino a 30-35 anni”. Così Mimmo Mongelli commenta La casa delle donne, ritratto di tre generazioni di una famiglia allargata dove i pantaloni sono portati da una triade di femmine potenti: Checchina (Caterina Sylos Labini), Pasquina (Raffaella Parlato) e Marietta (Tiziana Schiavarelli).
La saga inizia negli anni ’20 intorno a un pentolone dove sono bolliti i pomodori per preparare la salsa: si assiste al rituale di fine estate a cui partecipano solo le donne. Sullo sfondo della campagna pugliese si intrecciano i rapporti incestuosi tra il padrone di una masseria e le sue contadine, la maggior parte delle quali consanguinee. Nel tempo l’incesto, le paternità e le maternità incerte creano una struttura famigliare chiusa, impermeabile a qualsiasi trasformazione sociale e culturale esterna. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Maria Marcone, scrittrice più apprezzata all’estero che in Italia è già uscito in diverse città pugliesi guadagnandosi i primi posti nella classica del botteghino regionale e restando in sala per 5 settimane consecutive. Prodotto da Ennio Pontis per Resh srl con il contributo del Ministero dei beni culturali, La casa delle donne esce ora in diverse città capo zona: venerdì 11 luglio a Roma (Cinema Pasquino) e Torino (Cinema Fregoli), venerdì 18 a Milano (Cinema Palestrina) e Ancona.

Quando si è interessato al romanzo di Maria Marcone?
Dieci anni fa e ne sono rimasto subito affascinato. E’ un racconto sulle origini della nostra contemporaneità, sul perché vige ancora certa arretratezza culturale. Il mondo contadino, che dagli anni ’50 in poi ha invaso le città, ha portato molte eredità positive ma anche altrettante negative. Tra queste l’omertà familiare, l’incapacità dei nuclei parentali di interagire con l’esterno. Nella mia storia tutti gli uomini sono svuotati della loro consistenza più profonda: Guido in particolare è la perfetta immagine riflessa di tutte le figure femminili che lo circondano, la madre e la moglie. Lo spettatore lo può guardare in faccia solo quando muore. Ho scritto l’adattamento insieme a Maria Marcone, abbiamo stabilito un rapporto intenso di collaborazione iniziato nel ‘98.

Ci sono differenze tra i vari mondi contadini…
Di certo non parlo dei pastori di Padre padrone. Ma se penso ai contadini della Bassa, pur con le dovute differenze, alcune loro caratteristiche sono simili. In Emilia c’è una figura ancora oggi presente, la ‘resdora’, cioè la reggitrice: colei che amministra la casa. Io parlo della Puglia, una realtà che conosco perché vengo da quella terra. Racconto le situazioni arcadiche dei primi del ‘900 dove si ricicla secondo principi naturali. Poi vediamo queste stesse contadine spostarsi in appartamenti cittadini: lì diventano poco credibili, si tramutano in figure grottesche fino a diventare personaggi tragici. A Bari, una città abitata per lo più da commercianti e terziario, una volta contadini, il ’68, il femminismo, l’aborto, le trasformazioni economiche e culturali del paese sono entrate e uscite in un battibaleno, senza provocare reazioni sociali: questo perché i residui della struttura matriarcale hanno avuto l’effetto di blindare la famiglia rendendola totalmente impermeabile ai passaggi della storia. E’ successo il contrario di ciò che avveniva nelle grandi città del Nord, dove la presenza dell’industria ha scardinato le vecchie strutture familiari.

La storia di questa famiglia viene raccontata da Raffaella con un camera look in montaggio alternato…
E’ l’unico personaggio femminile consapevole del disastro provocato dal regime matriarcale. Eppure la donna è incapace di compiere il passo definitivo verso l’autonomia. Raffaella apre le finestre sul mondo limitandosi a guardarlo dal balcone.

C’è un impiego assoluto del dialetto e della musica pugliesi
Ho voluto usare l’asprezza tipica della lingua che contiene anche una sua dimensione tragica. Le musiche sono composte dai Radicanto, un gruppo che lavora sulla ricerca di generi tradizionali. Il tema è arrangiato in modo diverso a seconda delle epoche che accompagna, dagli anni ’20 fino agli anni ’80.

autore
08 Luglio 2003

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