Michelangelo Frammartino si presenta a Locarno con unopera prima, Il dono, esempio di cinema ridotto allosso, senza movimenti di macchina né attori. Con tempi rarefatti il filmaker 35enne nato e cresciuto a Milano, ha messo in scena scheletri narrativi di un paese svuotato”, frammenti di storie (forse) accadute in Calabria, a Caulonia, paese natio dei genitori poi emigrati come quasi tutti gli abitanti. Qui, dove gli annunci funebri sui muri raccontano che in qualche posto – Milano, Melbourne, Le Havre, Adelaide – è morto qualcuno portato via dal destino, vive ancora suo nonno Angelo, figura centrale della pellicola che Irene Bignardi ha scelto fin da aprile per la sezione Cineasti del Presente.
Raccontaci la storia produttiva del film.
Lidea è nata a giugno del 2002 come sana reazione al fallimento di un altro progetto. Ad agosto ho fatto i sopralluoghi per individuare volti e luoghi, a ottobre abbiamo girato per 14 giorni con un budget di 5000 euro, pari al premio ottenuto alledizione 2002 del Bellaria Film Festival. La troupe era composta da 5 elementi e 1 macchina da presa, tutto proveniente dalla Scuola civica di Milano dove ho studiato e poi insegnato. A Locarno arriviamo anche grazie a Luciano Barisone, tra i primi a promuovere il film, a Rai Cinema, che ci ha aiutato nella stampa della copia in 35mm, e al sostegno di Italia Cinema.
Perché hai puntato su una narrazione tanto sfilacciata?
Mi piace lasciare che il pubblico faccia le proprie scelte. Offro degli eventi grezzi per permettere a chi guarda di metterci del suo, di diventare anche coautore come accade nelle mie video installazioni. Lavoro con inquadrature fisse e campi lunghi perché non voglio indicare direzioni precise ma costruire dei quadri in cui è possibile frugare con lo sguardo. Sul set la posizione della macchina da presa non superava laltezza di 1 metro e 10 cm, quella di un occhio non umano, impersonale.
I tempi del film sono così dilatati per riflettere i ritmi della vita di Caulonia?
Sono soprattutto il frutto della mia scelta cinematografica. Certo, i ritmi di Caulonia ci hanno aiutato. Quando ho girato il film mancavo dal paese da 10 anni ma al mio ritorno ho ritrovato quei silenzi che fanno pensare ad un luogo privo di pulsioni. Ma sottopelle, dietro questa superficie dormiente, cè un subbuglio, uninquietudine. Così la m.d.p., dispositivo del visibile ma con la capacità di cogliere qualcosa che non si vede, dice qualcosa e il fuoricampo suggerisce che cè dellaltro. Ad esempio nel paese cè una merceria priva di clienti e di merci, ma il gestore la apre ogni giorno, riceve alcuni amici e sta lì in attesa di qualcosa. A contrastare con latmosfera del luogo cè un calendario dalle immagini quasi pornografiche. Un elemento perturbante che ho ripreso nel film.
Come hai reagito il paese alla vostra presenza?
A Caulonia si respira una stasi che ingloba tutto, anche la macchina da presa. Abbiamo opposto la resistenza necessaria realizzare il film. In pochi si sono accorti della nostra presenza, chi lo ha fatto ci ha aiutato tantissimo.
Le figure che popolano il film sono frutto delle tue memorie?
Alcune si. Nessuno recita ma tutti agiscono, spesso limitandosi allattesa. Lunica a cui è richiesto uno sforzo interpretativo è Gabriella Maiolo. E una ragazza borderline, in qualche modo abusata, che ha a che fare con il ricordo infantile di una bambina molto povera di cui il paese si prendeva cura. Col tempo lo sguardo degli uomini su di lei è cambiato&
Nel tuo film non cè alcuna nostalgia&
No. Più che il passato mi affascina la Caulonia del presente con i suoi oggetti e corpi consunti dal tempo, carcasse in continua mutazione.
Come hai lavorato con tuo nonno?
Lui è un 93enne pieno di vita. In quel paese fantasma si annoia e il film è stata una gioia enorme. Già 10 anni fa abbiamo lavorato insieme in un video ma non funzionava perché le sue movenze erano troppo scattanti per un vecchio. Sul set di Il dono è andata meglio ma anche questa volta ho lavorato alla sottrazione delle sue energie. Spesso lo riprendevo nei momenti di pausa, i fuori scena in cui era più lento. Lui se ne accorgeva e ci assecondava. Nel film è un vecchio turbato dalla morte di un cane, da unimmagine pornografica e dalla presenza aliena di un cellulare. Tre elementi che modificano il suo equilibrio.
Quanto spazio hai lasciato allimprovvisazione?
Nessuno. Ho lavorato sulla base di uno story board identico al lavoro finale. Per prepararlo ho raccolto appunti, fotografie e immagini con la videocamera, poi ho disegnato le singole inquadrature. La scrittura è arrivata dopo quando ho rinunciato alla battaglia contro la sceneggiatura, necessaria per la macchina cinema ma per me pesante come una zavorra. Al montaggio ho ritrovato esattamente il materiale che mi aspettavo. Ma non è stato facile, soprattutto la sonorizzazione ha richiesto molto tempo. Nel film i dialoghi sono quasi assenti, hanno la stessa valenza dei rumori di fondo.
Sei già al lavoro su nuovi progetti?
Si. Un nuovo film ambientato a Milano, tra i mezzi di trasporto della metropoli, tra i non luoghi” di Marc Augé, spazi in cui le persone vivono una grande intimità corporea ma nessuna relazione. Andremo alla ricerca dei personaggi che questa condizione la vanno a cercare. In programma cè anche il ritorno cinematografico a Caulonia.
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