Michael Caine-Jude Law senza esclusione di colpi


È evidente che Jude Law si considera l’erede di Michael Caine. Prima ha rifatto il donnaiolo Alfie e adesso interpreta il ruolo che fu suo in Sleuth, dalla pièce di Anthony Shaffer che divenne un film diretto da Joseph Mankiewicz nel ’72 (Gli insospettabili nella versione italiana). Il trentacinquenne attore inglese è infatti anche appassionato produttore di questa operazione molto sofisticata in cui ricompare l’ultrasettantenne Michael Caine che stavolta ha assunto la parte che fu all’epoca di Laurence Olivier, quella dell’intellettuale manipolatore e spietato che si vendica con arguzia (e non solo) sull’uomo con cui sua moglie lo tradisce. Scritto dal drammaturgo Premio Nobel Harold Pinter e diretto da Kenneth Branagh, Sleuth, in concorso a Venezia 64, è un meccanismo a orologeria in tre atti tutto giocato all’interno della villa ipertecnologica e mortuaria,  sorvegliata da incessanti telecamere a circuito chiuso di Andrew Wyke, giallista di successo che riceve una sera la visita dell’attore squattrinato Milo Tindle: di più è impossibile rivelare perché la Sony che distribuirà in Italia dal 9 novembre, prega di non svelare una trama che procede per rovesciamenti (sempre meno imprevedibili a dire il vero) nei rapporti di forza tra i due. “È come una battaglia, una rivalità sessuale tra due uomini per una donna, un conflitto primordiale”, spiega Branagh, che ha condensato il lavoro delle riprese in 4 settimane per sfruttare l’energia che sprigionava dai due attori. “È un film breve e concentrato, una scatola magica”. Nessuna risposta esauriente, invece sui riferimenti poco lusinghieri all’Italia presenti nel testo di Pinter: “Gli italiani? La cultura non è il loro forte” e “La vendetta è una specialità italiana”. I richiami sono appena giustificati dal fatto che il personaggio di Milo Tindle ha madre inglese e padre italiano, e si chiama in realtà Tindolini. Se Jude Law (a Cannes l’abbiamo visto in My Blueberry Nights) è talmente entusiasta di questo progetto da averci lavorato quattro anni, anche Michael Caine non scherza. “Non avrei mai fatto un remake puro e semplice perché era un ottimo film e bastava a se stesso, ma qui c’è un punto di vista completamente diverso. Harold Pinter non si è basato affatto sul film precedente ma ha allargato e cambiato la pièce. Qui ci siamo spinti molto oltre arrivando anche alla seduzione omosessuale”. Ad aumentare l’ambiguità pinteriana la scelta di rendere Maggie, la donna che scatena il duello tra i due, una figura misteriosa e assente, evocata solo dai suoi abiti e da una telefonata. “Alla fine riflette Branagh i due uomini lottano solo per vincere, neppure ricordano più l’oggetto del loro contendere”.

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30 Agosto 2007

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