“Avevo nove anni quando la mia infanzia finì”. Così inizia uno dei ricordi più dolorosi di Mia Farrow, icona del cinema e della cultura pop del XX secolo, che il 9 febbraio compie 80 anni. Come racconta nel suo memoir Quel che si perde, il giorno dopo il suo nono compleanno, Mia si trovò improvvisamente catapultata in un mondo fatto di dolore e paura. La festa, caotica e rumorosa, era solo un velo sottile sopra una stanchezza inspiegabile e un senso di distacco che ormai le erano familiari. Poco dopo, un dolore lancinante la fece crollare a terra, incapace di rialzarsi, davanti agli occhi attoniti dei suoi piccoli amici.
Quella caduta segnò l’inizio di un incubo: la diagnosi di poliomielite, l’isolamento in ospedale, le lunghe ore passate sotto le coperte per nascondere le lacrime e la paura. “Non volevo tutto questo. Avevo nove anni e non volevo che essere una bambina. Non volevo aghi nella schiena. Volevo solo non morire”.
Questo passaggio racconta molto più di una malattia: è il momento esatto in cui la fragilità di una bambina si scontra con la brutalità della vita. Un evento che, forse, ha forgiato la donna che Mia Farrow sarebbe diventata: un’artista intensa, una madre instancabile, un’attivista appassionata.
Maria de Lourdes Villiers Farrow nasce il 9 febbraio 1945 a Los Angeles, in una famiglia immersa nel mondo dello spettacolo. Figlia dell’attrice Maureen O’Sullivan, celebre per il ruolo di Jane nei film di Tarzan, e del regista John Farrow, Mia cresce circondata da lusso e arte.
Ma dietro la facciata di perfezione si nascondeva una fragilità precoce, che la poliomielite avrebbe presto portato alla luce. L’isolamento ospedaliero, la paura della malattia e la sensazione di essere sola in un mondo spaventoso segnarono profondamente il suo carattere.
Negli anni ’60, Mia Farrow inizia la sua carriera come attrice, conquistando rapidamente il pubblico grazie alla sua bellezza eterea e al fascino enigmatico. Il primo ruolo di rilievo arriva con la serie Peyton Place (1964-1966), dove interpreta Allison MacKenzie, una giovane donna dal carattere dolce ma determinato. Questo ruolo le regala una grande popolarità, trasformandola in una delle star più amate della televisione americana. Il suo inaspettato taglio di capelli cortissimi voluto per la serie, una specie di gesto rivoluzionario per l’epoca, divenne un’icona di stile e influenzò la moda degli anni ’60.
È con Rosemary’s Baby (1968) di Roman Polanski che Mia diventa un’icona del cinema internazionale. La scelta di Mia per il ruolo di Rosemary Woodhouse fu inizialmente controversa: la Paramount Pictures voleva un’attrice più affermata, ma Polanski insistette per lei, convinto che il suo volto delicato e il suo sguardo innocente fossero perfetti per incarnare la protagonista di questa storia inquietante. Durante le riprese, Farrow affrontò sfide notevoli: girò scene intense nonostante il divorzio in corso dal celebre cantante Frank Sinatra, che le consegnò i documenti per la separazione proprio sul set. Nonostante il dolore personale, Mia offrì un’interpretazione magistrale, immortalata nella celebre scena in cui mangia una bistecca cruda, un momento disturbante che rimase impresso nella mente degli spettatori.
Il volto pallido, lo sguardo intenso e l’interpretazione di una giovane donna intrappolata in un incubo moderno catturano l’immaginario collettivo. Farrow incarna perfettamente la vulnerabilità e la forza, due tratti che definiranno la sua carriera e la sua vita, rendendola una figura indimenticabile nel panorama cinematografico mondiale.
Gli anni ’80 segnano l’inizio della collaborazione con Woody Allen, con cui Mia gira tredici film, tra cui Hannah e le sue sorelle, Crimini e misfatti, Alice. La loro relazione personale e professionale diventa un simbolo del cinema d’autore newyorkese di quegli anni, caratterizzata da una profonda intesa artistica e da una complicità che si riflette sullo schermo. Farrow diventa la musa di Allen, incarnando personaggi complessi, spesso intrisi di una vulnerabilità sofisticata e di un’intelligenza acuta, caratteristiche che sembravano specchiare la loro dinamica personale.
Durante le riprese del film Hannah e le sue sorelle (1986), in cui Mia interpreta Hannah, una donna apparentemente equilibrata ma segnata da tensioni sottili, i due coniugi vivevano in appartamenti adiacenti a Central Park. La loro routine quotidiana era un perfetto equilibrio tra lavoro e vita privata, almeno in apparenza. Tuttavia, dietro le quinte si celava una storia fatta di tensioni latenti e di un equilibrio fragile, che iniziò a incrinarsi quando Farrow scoprì una serie di fotografie compromettenti di Allen con Soon-Yi Previn, la figlia adottiva di Mia, avuta con il musicista André Previn.
La scoperta fu devastante per Mia, segnando l’inizio di una rottura pubblica e dolorosa. La controversia legata a Allen e alle accuse di abusi su Dylan Farrow, la figlia adottiva della coppia, ha gettato ombre sulla narrazione pubblica delle loro vite, trasformando Mia da musa a madre guerriera in difesa dei suoi figli. Nonostante la pressione mediatica e le battaglie legali, Mia ha affrontato la situazione con una forza straordinaria, diventando un simbolo di resilienza e determinazione nel proteggere la sua famiglia e nel cercare giustizia per sua figlia.
Mia Farrow non è solo un’attrice: è madre di quattordici figli, biologici e adottivi. La sua famiglia, multiculturale e complessa, è stata spesso al centro dell’attenzione mediatica, soprattutto per le tragiche perdite di alcuni dei suoi figli: Tam, deceduto a soli 17 anni per complicazioni legate a una malattia cardiaca, Thaddeus, morto per suicidio nel 2016. Anche Lark, la sua prima figlia adottiva, è scomparsa prematuramente dopo una lunga battaglia contro una grave malattia. Ogni perdita è stata per lei un colpo devastante, trasformato in un’occasione per rafforzare il suo impegno come madre e attivista.
Negli ultimi decenni, Mia Farrow ha dedicato gran parte della sua vita all’attivismo umanitario. Ambasciatrice dell’UNICEF, ha viaggiato in zone di conflitto come il Darfur e il Sudan, denunciando le ingiustizie e sensibilizzando l’opinione pubblica internazionale. Il coraggio e la determinazione con cui affronta le crisi umanitarie riflettono la stessa forza interiore che l’ha aiutata a superare le sfide personali. Parallelamente, Mia ha continuato ad apparire in produzioni, però sempre più sporadicamente.
L’ultimo film risale a quattordici anni fa: Dark Horse (2011) di Todd Solondz, dove ha interpretato un ruolo toccante che ha dimostrato la sua versatilità e capacità di adattarsi a nuove sfide artistiche. Inoltre, ha partecipato a Be Kind Rewind (2008) di Michel Gondry, una commedia surreale che ha messo in luce il suo spirito giocoso e la sua disponibilità a esplorare personaggi fuori dagli schemi tradizionali.
Mia Farrow compie 80 anni. Non è solo la protagonista di film indimenticabili, ma una donna che ha attraversato momenti di luce e ombra con una resistenza straordinaria. Dal letto d’ospedale dove, bambina, temeva di morire, ai red carpet internazionali, fino ai campi profughi in Africa, la sua vita è una testimonianza di come la fragilità possa trasformarsi in forza.
In un mondo spesso ossessionato dall’immagine e dal successo, Mia Farrow ci ricorda che il vero valore risiede nella capacità di resistere, di amare e di lottare per ciò in cui si crede. Celebrare i suoi 80 anni significa onorare non solo l’attrice, ma la donna che, tra un respiro e una lacrima, ha imparato cosa significhi davvero vivere.
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