TORINO – Alle battute finali della sua 42ma edizione, il Torino Film Festival si fa cornice di uno dei più grandi e inattesi ritorni del cinema italiano, quello di Maurizio Nichetti. Il regista e attore 76enne torna a dirigere un film ben 23 anni dopo l’ultimo suo lavoro, Honolulu Baby. Presentato nella sezione Zibaldone, AmicheMai è un film dalle mille sfaccettature: apparentemente è una commedia on the road con protagoniste Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz, ma fin dalle prime battute si capisce che la nuova opera di Nichetti riserva molto di più per il suo pubblico. Un’opera metacinematografica che si fa contenitore di tematiche attuali e di tante situazioni tutte da scoprire.
AmicheMai inizia con il suo stesso backstage, dove due giovani content creator si stanno prodigando nel racconto della produzione di un film on the road. Protagonista del film è Anna, una donna che, dopo la morte dell’anziano padre, si trova costretta ad accompagnare l’odiata badante turca Aysè, da Trieste al suo remoto paese d’origine. Legato saldamente il letto del padre (lasciato in eredità alla badante) sul suo pick-up, Anna inizierà un lungo viaggio in auto che le cambierà la vita.
Maurizio Nichetti, che emozione è tornare a un festival dopo oltre 20 anni? Cosa è cambiato in questo lasso di tempo?
Intanto non è un festival qualsiasi, è il Festival di Torino che io sto inseguendo dal 1982, quando è nato come festival del cinema giovane. Io ero al mio terzo film ed ero già considerato vecchio, perché non potevo partecipare come opera prima o seconda. Quindi ho sempre visto Torino come un festival sempre attento al cinema indipendente di ricerca, un cinema di nuove proposte. Ho fatto festival in tutto il mondo, con bellissime soddisfazioni, però a Torino non ero mai venuto. Arrivarci con un film dopo più di vent’anni in cui non ne facevo, alla fine, è un’emozione da opera prima: ecco sì, è come se fosse la mia seconda opera prima. Ho lavorato in digitale, per un pubblico nuovo, in un secolo nuovo e mi sento un po’ esordiente. La mia emozione sarà di vedere per la prima volta un film davanti a un pubblico in sala. È cambiato che adesso i film si guardano anche sul tablet, sui telefonini, con i link. Però il cinema vive di un grande schermo, di un pubblico, di un cinema di emozioni che si aspetta di avere delle reazioni dal pubblico. Ho sempre fatto un cinema che veniva scaldato dalla sala. Allora la mia emozione è questa: dopo tanti anni vedrò un mio film nuovo, davanti a un pubblico nuovo.
Un pubblico che resterà stupito fin dai primi momenti, perché con AmicheMai ha girato due film in uno.
Io questo gioco l’ho sempre utilizzato, fin da Ratataplan che parlava del teatro portato nelle periferie; Ho fatto Splash era nel teatro alto, quello di Strehler, c’era la pubblicità che si faceva in quegli anni; Domani si balla parlava delle televisioni private che stavano nascendo; Ladri di saponette delle pubblicità che interrompevano le emozioni. Per cui per vent’anni non ho fatto film, perché con l’arrivo delle nuove tecnologie si è un po’ sdoganato il fantastico. Avevo fatto Volere volare con l’interazione tra cartone animato e dal vero, e L’una e l’altra con un’ombra che scappava da una maestra. Erano sempre film difficili da raccontare in una sceneggiatura. Ed è il motivo per cui mi sento molto indipendente, anche perché da Ladri di saponette in poi li ho prodotti anch’io, con la mia casa di produzione. Prima con Franco Cristaldi e Nicola Carraro che hanno prodotto i miei primi tre film e oggi con la Paco, con Isabella Cocuzza e Arturo Paglia, mi sono trovato a incrociare dei produttori che mi hanno dato fiducia, perché non esisteva una sceneggiatura che potesse rendere quello che io avevo in mente. Non scrivo romanzi. Ad esempio, ieri sera a Milano hanno proiettato Stefano quantestorie, un film che non saprei spiegare a parole. Però c’era una sala piena, che ha riso nel 2024 e si è stupita che questi film potessero essere fatti allora.
Perché secondo lei?
Perché oggi ci si è disabituati ai film prototipi, ai film curiosi, ai film che escono da un codice di serialità televisiva. Con grande rispetto per la serialità, ma ti chiedono delle storie per tutti, che possano essere capite anche con le interruzioni pubblicitarie. Il cinema è un’altra cosa, ti prende per mano e per un’ora e mezza devi crederci. Devi stare al gioco, alla favola.
I social network sono stati un’ispirazione per lei?
Come nell’88 ci confrontavamo per la prima volta con le interruzioni pubblicitarie e sembrava che la pubblicità interrompesse le emozioni, oggi le emozioni non si interrompono perché le emozioni passano da TikTok, passano da dei momenti di 15-30 secondi, e se non sei interessante nei primi 5, ti girano subito. Sembra una follia, ma è la realtà in cui stiamo vivendo. Io non sono mai stato critico nei confronti dei cambiamenti, anche all’epoca di Ladri di saponette, che è stato prodotto da Berlusconi. Non è che fossi andato alla Rai a fare un film contro la televisione privata, ero andato da uno che, nella sua follia, cavalcava anche le critiche che gli arrivavano. All’epoca, non solo lo aveva prodotto, ma lo aveva anche regalato a Natale a tutti i suoi dipendenti. Ed era un film contro le interruzioni pubblicitarie.
Certamente l’autoironia non era una qualità che gli mancava.
Non gli mancava, no. E il fatto stesso che lui avesse contribuito a quel cambiamento, lo rendeva protagonista del film.
Tra tutti i cambiamenti di cui non ha paura, non c’è il cambiamento climatico, mi sembra. Una tematica che a un certo punto entra a gamba tesa sullo spettatore.
È qualcosa in cui siamo immersi tutti e non ci possiamo far niente. Che si sia di Sinistra, di destra. Di governo, di opposizione, è una cosa che è sopra di noi. Cosa possiamo fare? Poco, ma quel poco che possiamo fare col nostro lavoro, realizzando anche un film, è giusto farlo. Perché non possiamo dimenticare che sopra di noi c’è questo tipo di problema, che è ineludibile.
Meglio non andare più a fondo, per evitare spoiler. Indubbiamente è un film che affronta diverse tematiche.
Sì, non vorrei che sembri un film sulle badanti, perché è il film sul rapporto tra due donne molto diverse tra loro, ma che alla fine cambiano. Come è successo alle attrici che, anche nella vita, sono diventate amiche. Non si conoscevano prima del film, abbiamo fatto proprio un avvicinamento progressivo. E abbiamo deciso di farlo assieme, perché ci siamo trovati bene tutti assieme. Con Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz è nato un trio che meglio non poteva essere assortito.
Un terzo elemento che si aggiunge a un duo dalla lunga storia. Come è stato ritrovare Angela Finocchiaro come attrice dopo tanti anni?
Devo dire che è lei che ha ritrovato me. Noi ci vediamo abitualmente, abbiamo fatto delle vacanze insieme, siamo amici. Nel 2019 mi ha detto: ‘ma perché non facciamo uno dei nostri film?’. Sentivamo un po’ la mancanza che avevamo ai tempi di Volere volare. Io le ho detto che dopo 20 anni ero un po’ fuori dai meccanismi, non avevo più la casa di produzione. Ma lei ha insistito. Siamo proprio partiti da lei, da una sua richiesta, dal suo personaggio. Più che da Angela Finocchiaro, devo dire, da una donna della sua età. Era quello che stavamo vivendo: avevamo un genitore anziano, il problema delle badanti. Abbiamo messo a fuoco il suo personaggio, come età, non come personaggio comico, perché a me sono sempre piaciuti i personaggi seri, che avessero un’ironia, un sorriso. Non ho mai cercato la gag per la gag. Poi abbiamo cercato l’antagonista, quella contro cui lei si doveva scontrare fin dall’inizio, anche solo per un piccolo problema di gelosia familiare. Quando siamo arrivati a Serra, ci sembrava di avere fatto una scoperta incredibile.
Questo è accaduto prima del Covid?
Se non fosse stata per la pandemia il film sarebbe stato fatto quattro anni fa. Poi dentro ci è finito tutto quello che è successo dopo il Covid. Noi eravamo partiti da fare un on the road con due donne in giro per l’Europa. Ci sembrava il film più economico da fare in quel momento. Da quel momento, però, non abbiamo più potuto girare in Europa perché c’era il Covid, e poi perché c’erano le guerre. Non si poteva andare in Moldavia, Bielorussia, Ucraina, che erano le nazioni, luogo comune da cui venivano le badanti in Italia. La prima idea era di andare in Moldavia, una realtà che conoscevo.
E quindi è cambiato tutto.
Sì, il film che vede il pubblico è frutto di questi cinque anni che abbiamo vissuto, dove nel frattempo ci siamo allagati n-volte. Facciamo tutto con leggerezza, non vogliamo essere catastrofisti. Ma l’idea originale è rimasta, due persone che viaggiano per l’Europa con una testiera del letto legata alla macchina. Un’immagine che ci faceva molto ridere.
Alla quale ha aggiunto come contrappunto le due giovani content creator.
Sono anche il futuro del produttore, perché noi viviamo in una realtà in cui qualcuno è riuscito a fare il passo dal mestiere di content creator al cinema. Pensiamo ai Me contro Te. I bambini sono pazzi di loro. Non è che stia inventando niente.
Sì, è tutto molto attuale.
Mi fa piacere. La cosa che mi spaventava di più, dopo vent’anni, era fare un film inutile, un film uguale a cose vecchie. Mi sarebbe spiaciuto, perché non ne valeva la pena. È stato bello che sia piaciuto a Giulio Base e agli organizzatori, e che sia stato preso subito per il Torino Film Festival. Però dobbiamo ancora trovare la distribuzione, mi auguro che questo Festival sia un’occasione per far vedere che il cinema italiano le idee ce le ha. Non è una questione di soldi, di grandi budget. Basta solo avere il coraggio di fare qualcosa in controtendenza.
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