Mattia Torre: l’artista che ci ha rivelato come siamo

In vista della presentazione del premio a lui intitolato, un ricordo del brillante autore dietro opere come 'La linea verticale', 'Boris' e 'Figli'


Mattia Torre c’è. C’è ancora anche se è andato via troppo presto, ormai già sei anni fa. Mattia Torre c’è perché la sua opera continua a far sentire la sua eco attraverso il tempo come tutte le grandi creazioni che hanno un nucleo di verità fortissimo. Torre ha raccontato l’Italia dalle sue viscere, partendo da dentro: da ciò che ha visto, da ciò che ha sentito, da ciò che ha conosciuto per esperienza diretta.

Nei suoi testi ha parlato di cibo, di politica, di famiglie stanche e rumorose, di solitudini chiuse dietro porte troppo sottili.  sempre con intento di “rivelare”, oltre a quello di intrattenere (con efficacia senza pari). È stato un architetto di trame, preciso fino alla maniacalità, devoto alla parola come si è devoti a una liturgia. La commedia, per lui, è stata una forma sacra: ha preteso rigore, misura, ritmo. Ogni pausa pesa quanto una battuta. Ogni esagerazione calibrata al millimetro, mai gratuita, sempre funzionale. La realtà, quella vera, è stata il suo unico punto di partenza e il suo confine: da lì si è spinto oltre, ma senza precipitare nel grottesco fine a se stesso.

Torre ha usato l’umorismo come si usa un bisturi: per incidere, non per ferire. E nel farlo, ci ha lasciato un linguaggio tutto suo – fatto di musicalità, asciuttezza, grazia – che ancora oggi ci parla, con la stessa precisione con cui lo ha fatto quando era in vita.

La sua poetica si fonda su un equilibrio miracoloso tra il comico e il tragico. Nelle sue storie il sorriso si apre all’improvviso, ma è subito seguito da un nodo alla gola. In La linea verticale, serie che Torre ha scritto durante la malattia, Valerio Mastandrea interpreta un uomo ricoverato per un tumore: la scena iniziale, con l’immaginazione del proprio funerale interrotta da un amico goffo, è una sintesi perfetta della sua cifra: ridere, ma ridere con la consapevolezza della fine. Una risata che non rimuove il dolore, ma lo attraversa.

Già nel monologo In mezzo al mare, portato in scena da Valerio Aprea, Torre raccontava un uomo piccolo, schiacciato da tutto, affogato in un mondo assurdo: era già chiaro, in quell’incipit teatrale, il suo talento per dar voce ai fragili, agli spaesati.

Il suo linguaggio è popolare e preciso, semplice e colto, capace di condensare pensieri complessi in battute fulminanti. Un esempio di questa ambizione è 456, spettacolo teatrale in cui una famiglia parla una lingua inventata, grottesca, buffa e inquietante. All’inizio lo spettatore non capisce, poi resta contagiato da quella musicalità. Il surreale “sugo perpetuo” lasciato sul fuoco dopo la morte della nonna è simbolo di un’Italia che cuoce lentamente, senza spegnere mai i fornelli, sospesa tra tradizione e follia. Torre ci porta dentro un universo deformato ma verissimo, dove l’assurdo è solo la maschera del reale.

Con Boris, serie culto co-creata con Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, Torre ha decostruito la televisione italiana mostrandone l’anima sciatta, cinica, rassegnata. Ma lo ha fatto amandola, da dentro. Boris è stata una rivoluzione: ha rivelato che si poteva fare satira intelligente e spietata, che il comico poteva essere un atto critico. La sua penna ha svelato il retroscena tragicomico di una società che lavora male, si arrabatta, sopravvive.

In Figli, la sua ultima sceneggiatura per il cinema, Torre ha raccontato il caos emotivo e “logistico” di una coppia che affronta la nascita del secondo figlio. Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi sono due adulti stanchi, ironici, impauriti. Il film, che ha vinto il David per la sceneggiatura originale, è un ritratto sincero della generazione dei quarantenni: troppo giovani per arrendersi, troppo stanchi per combattere. Torre li osserva con tenerezza: l’uomo che vuole fare tutto e non ci riesce, la donna che lotta e si sente sola. In una scena memorabile, lo Stato si materializza con la faccia dell’impiegato pubblico e diventa l’incubo grottesco dei genitori moderni. Ma il finale non è disperato: c’è una flebile speranza nella capacità di accettare i propri limiti.

Ma Torre non era solo scrittura: era relazione. Era compagnia. Il suo metodo creativo, profondamente collettivo. Lavorava con gli attori, cuciva i ruoli su di loro, ascoltava. Era un artigiano del testo, ma anche un uomo generoso, che sapeva creare comunità intorno a sé. Attori come Valerio Aprea e Mastandrea lo hanno accompagnato per anni, diventando estensione vivente della sua voce. Paola Cortellesi ha detto che Torre scriveva con il cuore aperto, mettendo dentro ogni frase la sua storia, la sua fatica.

Nel 2022, Paolo Sorrentino ha riportato alla luce sei testi teatrali di Mattia Torre, raccogliendoli sotto il titolo Sei pezzi facili e affidandoli alle voci complice e affilate di Valerio Aprea e Valerio Mastandrea. L’operazione non è stata un semplice tributo, ma un gesto di traduzione affettiva e artistica: Sorrentino ha scelto di non sovrapporre il proprio sguardo a quello di Torre, ma di farsi tramite umile e devoto della sua parola. Il risultato ha risuonato forte: il pubblico ha riscoperto, o scoperto per la prima volta, la potenza teatrale di Torre, la sua capacità di inchiodare l’Italia contemporanea con un tono che mescola ferocia e grazia. A distanza di anni dalla loro stesura, quei testi non mostrano alcuna patina: vibrano, respirano, sembrano scritti ieri. E forse lo sono, nel senso più profondo: parlano ancora a noi, e di noi.

La sua morte ha lasciato un vuoto enorme. Ma anche un solco: tanti giovani autori citano Torre come modello, tanti spettatori trovano nei suoi testi conforto e lucidità. “Boris” è tornato con una nuova stagione; i suoi monologhi girano sui social; le sue battute sono diventate motti popolari. Non si contano i tributi, i ricordi, le testimonianze d’affetto.

E ora anche un premio porta il suo nome. Il “Premio Mattia Torre” per la migliore sceneggiatura originale nel campo della commedia e del dramma brillante, istituito dalla Regione Lazio, verrà presentato il 5 maggio a Roma. Sarà un modo per scoprire nuovi sguardi, nuove voci, nuovi autori che, come lui, sappiano raccontare l’Italia con ferocia e dolcezza, con rabbia e amore.

Perché Mattia Torre non ha solo scritto: ha insegnato a guardare. E quello sguardo, oggi più che mai, ci serve.

autore
03 Maggio 2025

Focus

Focus

L’infinita voglia di passare dalla carta al set

In occasione dell’uscita di L’infinito, esordio alla regia di Umberto Contarello — sceneggiatore per maestri come Sorrentino e Bertolucci — un viaggio tra gli autori che hanno scelto di passare dietro la macchina da presa

Focus

Il cinema – Una lunga storia di abbracci

Il Festival di Cannes ha scelto quello di Un uomo, una donna di Claude Lelouch per la sua doppia locandina: noi ripercorriamo altri celebri abbracci del cinema

Focus

Star Wars, il 4 maggio e la vendetta del Quinto

Ieri è stato lo Star Wars Day, ma le celebrazioni continuano! Anche il gioco di parole 'May the Fourth' ha infatti un suo sequel... 'Revenge of the Fifth', la vendetta del Quinto! Un modo come un altro per continuare a festeggiare anche il 5 maggio

Focus

Cinema e lavoro: i film ideali da vedere il Primo Maggio

Non solo "concertone" a Piazza San Giovanni. Il significato della celebrazione va oltre la festa e anche il cinema si accorge di quanto il tema del lavoro sia attuale


Ultimi aggiornamenti